domenica 8 novembre 2015

RECENSIONE | Roynoir - Funamboli su Seta di Veleno (2015)


Nonostante la cronica mancanza di tempo libero, accolgo sempre con grande favore la possibilità di ascoltare qualche nuovo album, specialmente se di band italiane che hanno qualcosa da raccontare e che non cedono all’esclusività della pubblicazione liquida, affiancandole invece il confezionamento di un vero, scintillante ed ormai retrò Compact Disc™. C’è una bella storia di passione e dedizione alla base di Funamboli Su Seta di Veleno, disco appena stampato da una realtà di Bologna che nasce nella seconda metà degli anni ottanta e che, a vent’anni di assenza dalle scene, decide di ripresentarsi con una nuova formazione nel 2012 per rielaborare le esperienze passate e cristallizzarle, in una sintesi asciutta, sulle tracce di questo nuovo album. E c'è lo stimolo dato a chi scrive dall’interessante possibilità di confrontarsi con un genere musicale che i Roynoir definiscono in modo originale “funky-gotico-confidenziale ed un pò punk-metallico”, e che mi invita a guardare oltre quella comfort zone metallara che mi ha visto recensore nel recente passato

Il sestetto emiliano (“un ingegnere, un agente immobiliare, un centralinista, un attore-prof di religione, un insegnante di musica, un'attrice” recita la scanzonata bio, quasi a voler rimarcare una eterogeneità culturale/lavorativa in grado essa stessa di conferire varietà al sound del gruppo... e qualche grattacapo a chi pensasse di incasellarne il genere proposto) si presenta al pubblico del ventunesimo secolo con il brano di apertura La Ricerca, un quadro visionario e gotico sul quale i testi di Bruno Nataloni si dipanano come frammenti di poesia che, addentrandosi nella playlist, presentano progressive e cantabili concessioni alla metrica ed alla melodia. Dove i Roynoir riescono con particolare efficacia, sin dalle primissime battute, è nella tessitura dei tipici tappeti sonori di genere, pronti ad accogliere - come terreno fertile - immagini, suggestioni, parole: alle atmosfere oscure e sognanti (Heaven) si accompagnano così testi quasi mai banali, eleganti sovrapposizioni di suoni e complessità crescenti per le quali, con un filo di presunzione, altre band non avrebbero esitato a scomodare l’aggettivo progressivo/sinfonico. Il disco sa essere anche semplicemente rock (Quadratico Medio, tra gli episodi migliori, è un inno potente ed articolato che ricorda i primi Litfiba) e velatamente funkeggiante (Sibyl Vane, almeno nella traccia di basso), affidando il necessario denominatore comune ad una sezione ritmica che preferisce lavorare sui tempi, piuttosto che sugli intrecci, gli accenti o le possibilità espressive.  


Se un limite può esserci, è quello di una visione che - attraverso una pre/produzione più accurata - avrebbe potuto regalare ai quadri dei Roynoir un’ampiezza ed una profondità di colore ancora maggiori: un disco che - al pari di una colonna sonora - sceglie di fondare parte della sua forza sulla credibilità espressiva delle sue tele (Corpo Perso) deve necessariamente confrontarsi con una serie di sfide produttive che gli diano la possibilità di accedere ad una tavolozza ampia e variegata, senza pregiudicarne immediatezza ed efficacia. Funamboli è invece un prodotto che non presenta una ricerca di questo tipo, affidando ad una successione di costruzioni ritmiche una varietà che diventa prevedibile, quando non del tutto adeguata allo scopo (Pioggia d’Autunno). Da questo punto di vista mi piace considerare Funamboli non tanto come il traguardo di una band che ha saputo ritrovarsi, ma piuttosto come blocco di (ri)partenza per un progetto al quale le idee non mancano, e che merita di sollecitare le orecchie e le teste degli ascoltatori in una forma ancora più avvolgente, opulenta, compiuta. Ai Roynoir va comunque ascritto il merito di aver realizzato un disco di misurata ricerca (perfetto e programmatico il titolo dell’opener, dunque), non innovativo ma nemmeno scontato, in cui ogni brano pare stimolare l’ascoltatore con un punto di domanda finale, piuttosto che rassicurarlo con una descrizione precisa e chirurgica.

Particolarmente calzante appare l’artwork originale di Daniela Davoli, che raffigura una testa privata del suo volto, in cui però anche la sottrazione è dotata di una sua consistenza materica e rugosa, quasi tangibile, sulla quale è possibile lavorare per ricostruire. Funamboli su Seta di Veleno presenta allo stesso modo vuoti che suonano, semplicità che suggestionano, ripetizioni che confortano: testi e musiche lavorano bene insieme per creare scenografie sonore, proiettare immagini sfuocate, distribuire sostantivi che diventano facce ed accuse, dando vita ad un prog minimal ma non privo di sentimento ed eleganza (Morte a Marzo) che stimolano un dialogo interiore, pur nell’apparente semplicità degli ingredienti impiegati. La vena dark-wave dell’album non ne pregiudica il calore umano, creando al contrario una struttura dilatabile - ed accomodante - che ne potenzia il messaggio: l'assoluto bisogno di un ascoltatore che sia in grado di recepirlo ed interiorizzarlo rappresenta allo stesso tempo la vulnerabilità più evidente di questo disco, e la fragilità che lo rende speciale.

Voto: 76/100

Tracklist:
  1. La ricerca
  2. Heaven
  3. Morte a Marzo
  4. Quadratico Medio
  5. Muro Vuoto
  6. Corpo Perso
  7. Quando la Festa è Finita
  8. Pioggia d’Autunno
  9. Sibyl Vane

Band:
  • Bruno Nataloni - Voce
  • Stefano Rambaldi - Chitarra e voce
  • Stefano Gazzotti - Chitarra
  • Francesco Loperfido - Basso e voce
  • Salva - Tastiere
  • Rita Felicetti - Batteria