venerdì 1 novembre 2013

Recensione CAYNE - CAYNE


Non sai da dove cominciare, quando devi recensire un disco come questo, perchè la sensazione è rara e bellissima. Capita infatti che navigando in Rete scopri una band che non conoscevi, che ne ascolti l’album senza pregiudizi, che ne scopri la provenienza e ne leggi la storia, e ti accorgi che limitarsi a scrivere di un disco sarebbe limitato nei confronti dell’intera esperienza. Nelle quattordici tracce che compongono questa terza uscita discografica della band di Milano c’è infatti molto di più: ci sono professionalità ed ambizione, innanzitutto, consapevolezza dei propri mezzi, cultura musicale ed un respiro finalmente internazionale che sembra - abbracciando senza ipocrisie tanti elementi della moderna retorica rock - spezzare le catene del provincialismo che affossa una fetta consistente della produzione discografica nostrana. Type 0 Negative, The Mission, Black Sabbath, HIM, Lacuna Coil, Paradise Lost, Depeche Mode, Killing Joke, Blue Oyster Cult, In Flames, Ac/Dc, Sisters of Mercy, Joy Division, Meshuggah, Katatonia, The Police... la teoria delle influenze scelte dalla band per introdurre le proprie coordinate stilistiche è sufficientemente lunga e multiforme da ben suggerire come il gruppo lombardo coltivi un mood piuttosto che emulare un singolo nome, proponendo - come scopriremo ascoltando - una sintesi intelligente (e solo a tratti prolissa, complice una tracklist piuttosto lunga) tra realtà musicali di successo e singolarmente individuabili. I Cayne, che arrivano dopo ed un’anima se la devono inventare, diventano con la loro storia una metafora del volo e dell’abbandono, l’araba fenice che rinasce dalle ceneri di una scena sterile e copiona, un chiaroscuro astratto in un inglese quasi perfetto, un tocco delicato ed ineffabile come nell’intro The Strain e, più di tutto, la sfida umana ed artistica nel ricompattarsi proprio quando le cose sembrano andare alla grande. E invece no. 

La band alla quale devo questa marcatura stretta di emozioni  nasce nel 1999 ad opera di Claudio Leo e Raffaele Zagaria, ex-chitarristi e fondatori dei Lacuna Coil, all'indomani dell'uscita dell'omonimo disco per la major Century Media. Il duo raccoglie subito le proprie forze e “il proprio indiscutibile talento” (cito testualmente dalla pagina Facebook) per dare vita ad una nuova realtà, chiamata Cayne, che già nel 2001 pubblicherà Old Faded Pictures per Scarlet Records. Dovranno passare dieci anni - tra pause di riflessione e lente riprese - perchè il gruppo, in una formazione rinnovata che vedeva il solo Claudio ancora coinvolto, tornasse a pubblicare materiale inedito, stampando quell’Addicted che promuoverà in Italia nel corso di un tour di supporto agli amici Lacuna Coil. E sarà proprio Claudio, a poche settimane dall'uscita del disco che ascoltiamo oggi, ad andarsene per sempre, vittima di un male incurabile, il 17 Gennaio 2013 a soli quarant’anni. Ancora prima di ascoltarlo, Cayne diventa quindi un elemento di continuità che trascende l'umana sventura, nel quale coesistono le speranze e le rinunce, la progettualità e la sfida, il desiderio di guardare avanti e le vite di persone che hanno saputo ritrovarsi, ed un giorno si ritroveranno. Il disco, a testimonianza di un progetto di respiro nel quale possano fondersi i contributi umani ed artistici più diversi, si avvale di una serie di collaborazioni importanti: Andrea Farro (Lacuna Coil) duetta con Giordano Adornato in Through The Ashes, Paul Quinn (Saxon) esegue l’assolo di Black Liberation, mentre quello di King Of Nothing è opera di Jeff Waters degli Annihilator. Il compito di cesellare un materiale già buono in partenza, lo si avvertirà sin dal primo ascolto, viene invece assolto a pieni voti da Marco Barusso, chitarrista ma qui anche produttore ed arrangiatore, già al lavoro con Lacuna Coil, HIM, 30 Seconds To Mars e Coldplay, solo per citarne alcuni: è anche grazie alla sua esperienza se tra i solchi di Cayne “il rock gotico e melodico si fonde con ritmiche moderne e violente, e (...) atmosfere decadenti ed elettroniche incontrano riff metal maestosi impreziositi dal magico suono del violino elettrico e da indimenticabili melodie”. 


Bastano i primi accordi di Waiting per convincere dell‘efficace sintesi operata dal disco: dagli accordi di chitarra alla Murder dei Katatonia ai ritornelli che fondono le melodie autunnali dei Sentenced con un timbro brillante alla Starbreaker, i Cayne riescono ad accontentare tutti (“the music from Cayne is really for anyone, both from a musical angle and from the perspective of the lyrics, the emotions we put into our songs are for all those who want to take this journey with us”) senza tradire nessuno, perchè il loro approccio è coerente e ponderato, di una melodia semplice, vibrata e decadente - si vedano i frequenti intermezzi di violino - che tocca le corde giuste. Impossibile non lodare la performance di Giordano, forse il “meno italiano” tra i cantanti italiani alle prese con la lingua inglese che mi sia capitato di ascoltare: pronuncia a parte, Adornato riesce a distinguersi per un’inflessione melodica eppure partecipata, facendosi interprete di un dolore languido e superabile, di una redenzione possibile che viaggia sulle delicate note del violino di Lanfranchi. Le tracce si susseguono una dopo l'altra forti ciascuna di un'intuizione felice, di un riff azzeccato, di un effetto garbato che viene proposto per lo stretto tempo necessario ad apprezzarlo, e poi rimpiangerlo: sta in questo la natura sfuggente di Cayne, un lavoro di memorie istantanee che sembra volersi rivelare a metà, rappresentando un nuovo inizio piuttosto che il coronamento di un progetto lungo oltre dieci anni. Da un punto di vista stilistico, il sestetto propone un gotico moderno e melodico, malleabile e resiliente, capace di ritrovare la sua compattezza anche quando confrontato con pesanti break di doppia cassa, innesti folk, impeti industrial (Addicted), cover “college rock” (come Wikipedia definisce lo stile dei The Mission, dei quali i Cayne ripropongono Deliverance) e ballad dagli arrangiamenti raffinati (gli archi di Little Witch sono da pelle d’oca, a Deep Down And Under si perdonerà invece l’italico approccio piacione e artatamente soffuso). Nonostante la varietà di colorazioni, Cayne possiede una struttura di base, complice il lavoro svolto da Barusso in cabina di regia, sulla quale sembra possibile innestare di tutto, creando valore e suggestione misurata, invece che disordine: il disco è una spugna che assorbe e restituisce in uguale misura, un equilibrio maturo che - in puro stile 2.0 - ribadisce la sua natura contemporanea e la sua ambizione internazionale nella capacità di ascolto e confronto, di rielaborazione e ritmata sintesi, sempre in grado di ritrovare il bandolo della matassa (King Of Nothing) e la via di casa.

Cayne dimostra in ciascuna delle sue tracce una sensibilità nuova e rinfrescante, un punto di vista di volta in volta alternativo senza cadere nella tentazione dell’alternative, una capacità artigiana di arrotondare lo spigolo che purtroppo o per fortuna appartiene da sempre alle nostre genti. L’album sembra faticare, in quanto a contributo creativo, solamente nella sua ultima parte, suonando allungato: gli ultimi quattro/cinque brani sembrano riposarsi sugli allori di quanto costruito in precedenza, avanzando per gradevole inerzia piuttosto che introdurre elementi che ne rendano davvero interessante il singolo ascolto. A parziale discolpa, in questa fase finale l’album cita solamente se stesso (Like The Stars clona Little Witch) e non altro, rendendo la sensazione della ripetizione più sopportabile rispetto all’eventualità di un’emulazione sterile. Pesante dove serve per dargli una consistenza durevole, leggero ed arioso proprio quando sentiamo il bisogno di respirare sognando, ogni secondo del disco sembra graziato dalla fortuna di trovarsi al posto giusto al momento giusto, proponendo un allineamento perfetto di suoni e stati d’animo che molto deve alla cura riservata a mixing e mastering. Ed il fatto che la band abbia scelto di continuare il proprio percorso, come Claudio avrebbe voluto, non fa altro che aggiungere al progetto una tangibilità drammatica, una veridicità nera ed osmotica, una rielaborazione dell'assenza a cavallo tra espressione artistica ed il vissuto quotidiano di ciascuno di noi.

[8]

Modern Gothic Rock, 2013

Graviton Music Services

Tracklist:
  1. The Strain
  2. Waiting
  3. Don’t Tell Me
  4. Together as One
  5. King of Nothing
  6. Little Witch
  7. Deliverance
  8. Addicted
  9. My Damnation
  10. Deep Down and Under
  11. Through the Ashes
  12. Black Liberation
  13. Evidence
  14. Like the Stars
Line-up:

Giordano Adornato (Voce)
Claudio Leo (Chitarra)
Marco Barusso (Chitarra)
Giovanni Lanfranchi (Tastiere, Violino Elettrico)
Andrea Bacchio (Basso)
Guido Carli (Batteria)

Nessun commento :

Posta un commento