Brant Bkork
Recensione: Brant Bjork
Ambasciatore del Californian desert rock, Brant Bjork giunge con questo lavoro omonimo alla tredicesima tappa di una carriera che lo ha visto agitarsi dietro le pelli per Kyuss, Vista China e Fu Manchu. E’ però un deserto dolce ed innamorato, quello narrato da Bjork: benchè asciutti nei suoni, i suoi panorami non sono aridi, né le sue immagini confuse dalle ondate di colore che si levano dall’asfalto incandescente.
L’artista di Palm Desert ha oggi poco a che spartire con i binari corrosi dalla ruggine di “Blues For The Red Sun” (Kyuss, 1992) o con lo stoner metal degli Out Of Order (Stranded, 1996): qui c’è piuttosto un incidere dolcemente ipnotico (“Mary”), una rilassatezza che sa di siesta, una progressione non troppo pesante e l’abilità nel fare di ogni sussulto – fosse anche solo attraverso un lick di chitarra – un piccolo evento portatore di freschezza. Non c’è dunque il deserto – quello scomodo – al centro del racconto, ma piuttosto la relazione complicata che ognuno può instaurare con i suoi spazi, con i suoi silenzi e con le storie che si intrecciano tra i granelli delle sue sabbie.
E’ grazie alle tinte tutto sommato sobrie che caratterizzano questo quadro che basta poco per accendere il groove: “Jesus Was A Bluesman” potrà anche parere poca cosa, ma il drive con il quale riprende ogni sua irriverente strofa ammicca e sprona, come una versione classic di “Out Of The Sun” dei Motorhead (“Sacrifice”, 1995).
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