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mercoledì 12 dicembre 2012

Recensione cuffie AKG-K551


Dopo aver vinto il concorso di Lexus Europe, che mi ha permesso di volare in Germania per assistere come "ospite VIP" all'edizione 2010 della Nurburgring 24h, lo scorso Novembre ho partecipato ad un'iniziativa di AKG chiamata "AKG Expert Panel". Il produttore di cuffie austriaco, attraverso l'olandese Fortress Social Branding, ha aperto una sorta di competizione su Facebook - mediante un'apposita app - mirata alla ricerca di blogger sparsi in tutta Europa disposti a provare e recensire le nuove cuffie AKG-K551, presentate così sul sito ufficiale:
“Realizzazione di un ambiente sonoro altamente realistico.
Gli ingegneri AKG® hanno ottimizzato le cuffie K551 per un'esperienza d'ascolto completamente avvolgente. A partire dal driver da 50 mm su ciascun orecchio, queste cuffie reference class si avvalgono della tecnologia Real Image Engineering per creare un ambiente di ascolto altamente realistico e arricchito da una vera e propria sensazione di spazio tridimensionale. Eleganti e portabili, le K551 consentono di portarsi appresso un suono dalla qualità da studio di registrazione ovunque si vada. E il microfono sul cavo consente di rispondere alla telefonate che si ricevono sull'iPhone. Le cuffie K551 sono leggere e confortevoli e vantano un'eccezionale attenuazione passiva del rumore e livelli estremamente bassi di dispersione del suono. In questo modo, sarà possibile restare beati nel proprio ambiente sonoro per ore e ore.”

Si tratta di cuffie di qualità, appartenenti alla serie Reference, con un prezzo di listino (pari a circa 290€) che va ben oltre le mie scelte hi-fi, notoriamente low-cost. Bene, il 28 Novembre, mentre alla stazione di Cesena (FC) aspettavo il Regionale Veloce che mi avrebbe portato nell’opulenta Bologna, ho ricevuto una mail da parte di Alexander di Fortress Social Branding che mi informava di essere stato scelto per prendere parte all’Expert Panel di AKG, e che mi sarebbe stato spedito un paio di cuffie all'indirizzo che avrei indicato. Inutile descrivere la sorpresa e la felicità che ho provato, e l'entusiasmo col quale ho accettato di preparare una recensione approfondita da pubblicare su questo blog entro il prossimo 19 Dicembre. Mi sembrava necessario chiarire come sono entrato in possesso delle AKG per una questione di trasparenza nei confronti del lettore, garantendo che nelle righe di seguito ne verranno comunque presentati pregi e difetti con la massima onestà.


Le cuffie sono arrivate (dall’Olanda) nella giornata di Venerdì 7 Dicembre, protette da un imballo talmente voluminoso da farmi dubitare dell’effettivo contenuto dello stesso: protetta ai lati da fogli arancioni di carta appallottolata delle poste olandesi ed avvolta in un generoso Pluriball, la confezione delle K551 si è finalmente rivelata in tutto il suo sobrio, quadrato ed elegante splendore. 


La parte superiore della scatola, in total black, sembra quasi incorniciare le cuffie di colore bianco (con profili metallizzati), permettendo di apprezzarne l’eleganza attraverso un’ampia cornice trasparente, sulla quale è riportata la dicitura “Closed-back reference class headphones”. Non mancano, diametralmente opposti, i loghi di “AKG by Harman” e quelli dei prodotti Apple - iPod, iPhone ed iPad) compatibili con il telecomando inserito nel cavo delle cuffie. Sui lati della lussuosa scatola troviamo una spiegazione schematica dei comandi che è possibile impartire dal telecomando (controlli volume, accettazione di telefonate e chiusura delle stesse, riproduzione, pausa e scelta della traccia precedente/successiva), l’indicazione dei due anni di garanzia e, a spezzare l’eleganza seriosa del colore nero, una fascia di colore giallo all’estremo della quale è ben visibile la scritta “On The Go” che identifica questo prodotto, nonostante le generose dimensioni, come adatto anche all’ascolto fuori dall’ambiente domestico. 


Tecnicamente più interessante si presenta invece il lato posteriore della scatola, che presenta peculiarità e caratteristiche tecniche del modello col quale AKG ha rinnovato i fasti delle precedenti K550. Per presentare questa versione il produttore austriaco (qui la storia del marchio) pone l’accento sulla natura chiusa e sul suono arioso di queste cuffie, sulla presenza del telecomando, sul driver da 50mm utilizzato, sul peso contenuto e sul meccanismo di ripiegamento 2D-Axis, che ne permette un trasporto agevole. 

Da un punto di vista tecnico le caratteristiche delle AKG-K551 si possono riassumere con queste specifiche:
  • Impedenza 32 Ohm
  • Sensibilità 114 dB
  • Risposta in frequenza 12Hz - 28000Hz
  • Peso 305 grammi
  • Cavo di 1.2 metri

Nella parte inferiore troviamo infine il numero di serie in bella evidenza e l’inevitabile dicitura Made In China, nonostante sia specificato che il prodotto viene disegnato e progettato in Austria. 


Sollevata la parte trasparente della scatola (non senza impegno, dal momento che gli elementi sovrapposti tendono a sigillarsi l’uno con l’altro per un effetto fisico del quale non ricordo il nome), troviamo finalmente le AKG adagiate su un sottile supporto di plastica bianca, piuttosto economico: particolarmente sobrio sembra anche il cavetto delle cuffie, troppo sottile, troppo corto e di colore troppo azzurro, così come non convincono la fattura plasticosa del piccolo telecomando (i cui pulsanti agli estremi verticali possono essere premuti in una sola, specifica direzione) ed il jack da 3.5mm, che pare anch’esso meno rifinito del corrispondente elemento montato sulle K550.


Sollevate dal piano d’appoggio, le AKG-K551 trasmettono immediatamente una soddisfacente sensazione di solidità: comunque le si afferri, le cuffie rimangono immobili, ben bilanciate e caratterizzate dal profumo della simil-pelle che sa tanto di nuovo. A sostenere i trasduttori troviamo un’unica fascia metallica, sottilissima ma di larghezza generosa, regolabile su entrambi i lati senza sforzo grazie ad un sistema a scatti che prevede dodici posizioni sul lato sinistro ed altrettante su quello destro. Incollato sotto l’archetto di sostegno troviamo un’imbottitura che lo percorre per tutta la sua lunghezza, quando non esteso ai lati: il cuscinetto è piacevole al tatto, ed il suo spessore appare sufficiente ad introdurre uno spazio confortevole tra la testa dell’ascoltatore e l’archetto metallico. Il collegamento tra l’arco superiore ed i trasduttori è infine assicurato - mediante l’applicazione di una sola vite - da una sezione in materiale plastico, dalla piacevole finitura lucida: l’elemento inferiore aggancia la cuffia dal solo lato posteriore (rimanendo quindi invisibile a chi osserva l’utilizzatore) e, snodato, permette di ruotare gli altoparlanti di novanta gradi sul lato interno. 


Le cuffie, una volta indossate, avvolgono con dolcezza l’intero padiglione auricolare: l’imbottitura, realizzata in materiale sintetico di colore grigio, preme senza infastidire, realizzando quella compressione in grado di non far disperdere eccessivamente il suono all’esterno. Per testare il suono delle AKG-K551 utilizziamo un notebook Compaq 6720s, equipaggiato con il chip AD1981HD di Analog Devices e Windows Media Player 11 (senza equalizzazione attivata): l’amplificazione del segnale in uscita è invece affidata ad un amplificatore per cuffie marcato Miridiy, che utilizza un doppio canale digitale/analogico, grazie alla presenza di una valvola di tipo 6N11/ECC88.

L'ASCOLTO

Dopo un burn-in iniziale di circa tre ore, effettuato riproducendo in loop Empire dei Queensryche, il primo assaggio di pelle d’oca le AKG lo offrono con l’ascolto di It’s Not Unusual ed I’ll Never Fall In Love Again interpretate da Clare Teal (The Many Sides Of Clare Teal): a colpire in prima battuta è innanzitutto la sensazione di tridimensionalità, che avvolge l’ascoltatore con naturalezza, indipendentemente dal fatto che le note provengono da casse di tipo chiuso. La scena sonora, al contrario, è inaspettatamente vasta, circolare, con la voce in analitica evidenza e tutti gli strumenti a gravitarle attorno, con ordine e respiro. Il dettaglio si avverte nella presenza corposa degli archi, in un charleston finemente cesellato, nel duetto educato di chitarra e pianoforte, chiaramente distinguibili su piani diversi anche quando eseguono la stessa partitura. What I Am di Edie Brickell regala un altro terreno sul quale le cuffie di AKG hanno gioco facile: l’insieme riprodotto è brillante e coerente, avvolgente e tridimensionale grazie alla sensazione di trovarsi al centro di uno spazio più ampio, tipico dell’esecuzione dal vivo. Anche in questo caso alla composizione della scena sonora contribuiscono con maggiore autorità voce e chitarre/tastiere di quanto non faccia il basso, ridotto al ruolo di semplice, per quanto riconoscibile comparsa. Simile il comportamento con il nostrano Cesare Cremonini, e la sua Il Comico (Sai Che Risate): la voce del cantante di Bologna rimane in primo piano, riprodotta con precisione nasale, mentre tra gli elementi di contorno spiccano con un certo vigore archi e sonagli. 


Le mie amate Superlux HD668B (circa 30€ su eBay) attenuano la voce a favore di una sezione ritmica più corposa ed esuberante: cassa e basso sono presenti e riconoscibili, mentre perdono decisamente di brillantezza i piccoli abbellimenti che regalano vivacità alla canzone, lungo tutta la sua durata: queste cuffie economiche propongono un suono certamente meno personale, più equilibrato perchè meno analitico, incapace di cogliere la piccola finezza a favore di una fotografia dal carattere panoramico. Eyes Of A Stranger dei Queensryche nella versione riprodotta dalla Superlux è potente ma appiattita, generosa nell’elargizione delle frequenze più basse ma sostanzialmente priva di dettaglio: voci e strumenti sono salomonicamente posti su piani simili, con una resa equilibrata ma poco personale. Agli archi riprodotti da AKG nella stessa canzone manca forse un poco di presenza drammatica, ma quando tutti gli strumenti entrano in scena l’impatto di un paio di cuffie superiore è evidente: “controllo” è il termine che meglio ne descrive il carattere, a significare una certosina, infaticabile opera di smistamento delle sonorità che assegna a ciascuna il proprio spazio secondo i rapporti di forza dettati dagli ingegneri austriaci. Quello della verticalità è un ulteriore elemento che distingue una riproduzione di qualità migliore: non solo i suoni sembrano provenire da uno spazio più ampio, ma si avverte anche una sorta di gerarchia tra le fonti, che probabilmente costituisce il segreto di una resa tanto ordinata. L’impressione è quella di trovarsi al cospetto di diffusori a più vie, capaci ciascuno di riprodurre le frequenze assegnate senza sovrapporsi con le altre. Il dettaglio delle AKG è evidente nella parte finale del brano, nella quale confluiscono assoli, riff e voci provenienti da ogni direzione: gli elementi che si notano sono in numero superiore a quanto avessi avvertito fino ad ora e finalmente posso esclamare anche io di avere sentito, come capita agli audiofili di primo pelo, suoni che prima di oggi non mi erano sembrati nemmeno presenti sul dischetto argentato. 


Le K551 impongono ad ogni contenuto un approccio easy-going, refrattario ad ogni tipo di autoindotto affaticamento, e propongono un ascolto intelligente, smart, capace di ordinare le diverse sonorità su piani differenti, assegnando a ciascuna la giusta posizione all’interno di uno spazio dilatato: non solo destra e sinistra, dunque, ma anche la sensazione di elementi più vicini ed altri più discreti, con la voce e le frequenze medie che sembra dominare le scene da una posizione di assoluta centralità. Per quanto riguarda la resa della voce, in particolare, va rimarcata la capacità di queste cuffie di dare particolare vita e passione alle parti cantate, che sembrano insinuarsi piacevolmente dentro di noi, sviluppandosi da dentro, invece che provenire da due elementi elettromeccanici posti in epidermica prossimità delle nostre orecchie. L’effetto è quella di cuffie che scompaiono, alla pari dei migliori diffusori, complice un peso contenuto ed un comfort che si mantiene tale anche dopo gli ascolti più prolungati. Il reggae di Weight In Gold di Finley Quaye (28th February Road) racconta tanto circa il carattere composto ed analitico delle cuffie di origini europee: il suono del basso, che altre cuffie avrebbero esaltato con fare ruffiano ed accomodante, è qui presente per contribuire alla riuscita del brano, senza colorarlo nè esaltarlo eccessivamente. Le K551 tornano a privilegiare le frequenze medio-alte, restituendo una convincente espressività alla voce e sottolineando le note più brillanti delle chitarre acustiche, così come quelle della batteria: l’immagine è solare senza risultare scomposta, vivace senza disordine, di una maturità che appare funzionale ad una riproduzione esatta, mai incompleta, mai noiosa. Il rullante in particolare è reso con una precisione viva ed ariosa che sembra non poter appartenere ad un paio di cuffie chiuse, rendendo le AKG-K551 una scelta particolarmente adatta all’ascolto del classic rock, nel quale la nuance espressiva riveste un ruolo più importante di tempo, dinamica e ritmo. 


Le cuffie sembrano lavorare secondo le proprie regole, riluttanti agli artifici di prodotti più economici che puntano a stupire con il rischio di affaticare. Decido di metterle alla prova con l’onnipresente Gangnam Style di PSY e l’impressione è confermata: la voce del cantante coreano si appropria del primo piano, accompagnata da un tripudio di luminosissimi effetti sonori. Anche in questo caso le frequenze più basse sono presenti e facilmente distinguibili ma non “pompate”, donando alla riproduzione musicale un senso di ordinato fluire che non permette a certe frequenze di prevalere in modo disarmonico sulle altre: se poi si tenta di alzare il volume in Push And Stove dei No Doubt oltre il limite consentito, per sollecitare una resa maleducata delle frequenze più basse, le cuffie reagiscono prontamente - grazie alla buona sensibilità - ma generano un’evidente distorsione, rifiutandosi in questo modo di collaborare e distogliendo l’ascoltatore da propositi oltraggiosi. Le chitarre elettriche dei Poison in Unskinny Bop sembrano fermarsi un passo prima di dove al metallaro sarebbe piaciuto sentirle, ed anche Poison di Alice Cooper viene ricondotta - con le buone o con le cattive - ad una dimensione di disciplina collegiale, che a dir il vero non pare appartenerle. Le K551 finiscono quindi con il privilegiare una resa equilibrata, che permetta di esaltarne le doti di morbida spazialità, a discapito di quelle dinamiche: Peter Gunn di Henry Mancini e Blue Velvet di Bobby Vinton mettono a proprio agio le AKG con la netta separazione tra i canali, bassi timidi e piacevolmente fuori dal tempo ed un’attenzione romantica alla voce che affascina e racconta, prima di tutto. La vera sorpresa delle cuffie oggetto di questa recensione sta quindi nel loro carattere ordinato, più coerente con il look raffinato che con l’etichetta “on the move” incollata sul lato della scatola.

LA PROVA CON IL DAC

Per verificare il comportamento delle nuove cuffie, ho pensato di agire in due diverse direzioni: per prima cosa ho effettuato un secondo periodo prolungato di burn-in, riproducendo musica in modo continuo dalle 7 del mattino alle 23 di sera. In secondo luogo, ho modificato l’amplificazione fornita agli altoparlanti, passando dall’amplificatore ibrido al DAC NG272011 prodotto da HA INFO. Si tratta di un DAC dal prezzo accessibile che utilizza componentistica BB PCM2702E, OPA2604AP e PHILIPS BD139/BD140, del quale avevo già avuto modo di apprezzare il suono limpido e dettagliato con le altre cuffie in mio possesso (Sennheiser HD40, Teufel Aureol Massive, Panasonic RP-HTF890, House Of Marley Positive Vibration). L’adattatore jack/mini-jack inserito nell’ingresso cuffie del DAC presenta purtroppo un’incompatibilità con il jack delle AKG per cui il suono riprodotto dalle cuffie risulta praticamente inascoltabile, in quanto mix di frequenze distorte ed altre completamente mancanti. 


Trovata con precisione chirurgica, e pazienza, la giusta posizione, è finalmente possibile procedere all’ascolto: sia Six degli All That Remains che Man On The Edge degli Iron Maiden ribadiscono, qualora ce ne fosse ancora bisogno, il carattere composto di queste cuffie. Il fronte sonoro è ampio e tridimensionale, la dimensione quasi live, e risulta perfino divertente scovare le differenze tra i canali, che con altri trasduttori sembrerebbero invece riprodurre gli stessi suoni. Ancora eccellente è la resa della voce, che come detto sembra originare da dentro la testa dell’ascoltatore, generando una rara sensazione di immersività: le dolenti note riguardano invece il supporto delle frequenze medio-basse, che anche in questo caso sembrano volutamente carenti, come se la musica fosse resa principalmente da alti e medi (voce e chitarre soprattutto). 


Decido allora di aiutare le AKG a colorare leggermente il suono, agendo - senza esagerare - sull’equalizzatore di Windows Media Player ed il risultato è... wow! Le cuffie reagiscono alla grande, proponendo un mix di colore e dettaglio che, per quanto meno “neutrale” (o meno audiofilo, se volete) aggiunge però qualcosa in tema di coinvolgimento, spinta e disimpegnato divertimento. Save Tonight di Eagle Eye Cherry ha ritmo e calore, il basso trionfante di Suburban Knights degli Hard-Fi si fa sentire come dovrebbe (nel frattempo sposto di qualche millimetro l’archetto sulla testa, perchè la pressione comincia a farsi sentire), I Touch Myself dei The Divinyls è oscura e sexy proprio come la intendevano gli australiani nel 1991 ed In The Name Of Metal dei Bloodbound è un insieme cattivo e melodico, descritto nella sua trascinante pienezza. Deludente rimane invece Stairway To Heaven nella versione reggae-rock dei Dread Zeppelin, a causa di un basso che da protagonista si presenta ancora confinato a semplice, per quanto chiaramente avvertibile, comparsa, riservando le luci della ribalta alla voce calda di Tortelvis, alle chitarre ed alla batteria.


Rispetto alle mie Superlux HD668B, la resa delle cuffie AKG è più verosimile e dettagliata, vibrante e respirata, coraggiosa e dinamica. Le K551, opportunamente equalizzate, sono cuffie operaie che non si limitano a svolgere il compitino e che, al contrario, sembrano sforzarsi continuamente alla ricerca di una resa e di un dettaglio di qualità superiori. Tridimensionalità, tessuto delle frequenze medie e coerenza sono tra i fattori che rendono il prodotto della Casa Austriaca facilmente riconoscibile, perchè dotato di una propria personalità. Soprattutto per questi motivi, il giudizio non può che essere globalmente positivo: le K551 rappresentano infatti un ottimo upgrade per chiunque desideri un assaggio di qualità “reference”, ad un prezzo tutto sommato accessibile. Le prestazioni, e le conseguenti soddisfazioni, che si possono ottenere con le K551 le rendono degne di considerazione, a patto che se ne tengano in debito conto le preferenze musicali: la resa di reggae, pop e rock/metal risulta infatti leggermente sbilanciata a favore della fascia più alta dello spettro, mentre i generi incentrati sulle frequenze medie (nei quali sia la prestazione vocale a farla da padrone) godranno di una resa spettacolare, trasformando l’ascoltatore da semplice spettatore a protagonista della scena. Dal punto di vista dell’hardware, le cuffie sono comode ed esteticamente riuscite, ma il peso dell’archetto di sostegno tende a farsi sentire dopo un utilizzo molto prolungato: il cavo troppo corto e sottile, il telecomando dalla finitura decisamente cheap ed il jack incompatibile con alcuni adattatori sono difetti veniali che non compromettono la qualità dell’esperienza, ma che tolgono qualche punto alla valutazione finale nella prospettiva di un utilizzo “on the go”.

PRO
  • sensazione di spazio e dettaglio
  • resa vibrante delle frequenze medie
  • comodità dei padiglioni auricolari

CONTRO
  • misura del cavetto e finitura economica del telecomando
  • incompatibilità del jack da 3,5 mm con alcuni adattatori
  • necessità di equalizzazione per diventare coinvolgenti

Voto 81/100

martedì 7 agosto 2012

Prova comparativa tra 4 amplificatori per cuffie low-cost

Appassionato di alta fedeltà dai tempi di Stereoplay, ed abbonato a Stereophile ormai da qualche anno, ho dovuto rinunciare da qualche tempo ai servigi del mio coordinato Marantz in favore di soluzioni salva-spazio compatibili con la metratura da monolocale nella quale vivo. 

Per nulla scoraggiato dal down-shift, nè dalla tristezza globale che sembra ammantare questi tempi di crisi, ho quindi intrapreso un cammino - rigorosamente low-cost - alla ricerca di soluzioni che mi possano offrire un audio decente nel poco tempo libero. Se per l'ascolto con casse mi sono rivolto ad un micro hi-fi Onkyo CR-535, del cui rapporto qualità-prezzo posso dirmi soddisfatto, ho accumulato una serie di cuffie e gingilli che mi tengono compagnia durante il lavoro al computer. 

Armato di cuffie Superlux HD668B e di un notebook Compaq 6720s con a bordo una scheda audio SoundMAX HD prodotta da Analog Devices, ho quindi deciso di effettuare una prova d'ascolto tra quattro soluzioni molto diverse tra loro, ma accomunate dal fatto di costare decisamente poco. Tutte le prove di ascolto sono state effettuate tenendo i volumi del PC (scheda audio e WMP11) al 100%, agendo quindi sui singoli amplificatori per la regolazione del volume di riproduzione in cuffia.
La prova comparativa si è svolta ascoltando alcuni brani tratti da Empire dei Queensryche (file rippati dal mio CD originale con WMP11 a 320kbps), un capolavoro sospeso tra heavy-metal e progressive rock che conosco piuttosto bene, pubblicato da EMI USA nel 1990.
La mia curva di equalizzazione su Windows Media Player 11
(sistema operativo Windows Vista Business) 
Tra le cuffie in mio possesso (Panasonic, Sennheiser e Teufel) ho scelto di utilizzare le Superlux HD-668B, prodotto dall'eccellente rapporto qualità-prezzo con queste caratteristiche tecniche:
  • Type: Dynamic
  • Frequency response: 10 – 30,000Hz
  • Acoustic design: semi-open
  • Driver: 50 mm, 38µ double dome, neodynium magnet
  • Voice coil (at 1,000Hz open circuit voltage): 56 Ohms, copper coated aluminum wire
  • Sensitivity: 98dB SPL, 1mW
  • Total harmonic distortion: <0.3% at 1KHz/1V
  • Maximum power: 300mW
  • Headband pressure: Approx. 3,5N
  • Net weight: 222 grams (7.95 oz)
Ed ora avanti con le prove!


Prova n. 1
FiiO E5
Circa €25.00 su eBay


Presentazione:

Fiio è una dinamica ditta cinese specializzata in soluzioni per l'audio portatile dall'ottimo rapporto qualità/prezzo: tra DAC ed amplificatori per cuffie, la mia scelta è ricaduta sull'E5, un pratico amplificatore digitale grande come la fibbia di una cintura, facilmente trasportabile grazie alla clip posta sul retro e ricaricabile con una normale presa USB. Oltre a disporre di un ingresso ed un'uscita in formato mini-jack, il FiiO E5 presenta un controllo volume digitale, una spia che ne segnala il funzionamento e la fase di carica, ed un selettore per aumentare la resa dei bassi durante l'ascolto.

Caratteristiche tecniche:
  • Output Power: 150 mW (16 ohms Loaded); 12 mW (300 ohms Loaded) 
  • Signal to Noise Ratio: More than 95 dB (A Weight) 
  • Distortion: Less than 0.009% (10 mW) 
  • Frequency Response: 10 Hz - 100 kHz 
  • Suitable Headphone Impedance: 16 ohms - 300 ohms 
  • Weight: 30g 
  • Power Supply:build-in 200mAh rechargerable battery 
  • Dimensions: 44.2mm x 38 mm x 12.6 mm
  • Preamp Opamp: OPA2338UA
  • Poweramp Chip: TPA6130A
Impressioni di ascolto:

Con il volume al massimo, ed in assenza di segnale, l'amplificatore emette un fruscio facilmente avvertibile, ma che per fortuna viene prontamente nascosto all'avvio della riproduzione musicale. L'opener Best I Can è perfetta per valutare le capacità dinamiche del mini-amplificatore di FiiO: scegliendo di non esaltare forzatamente i bassi con lo switch dedicato, è il suono del tappeto di tastiere a prevalere su quello del basso, con le frequenze più profonde che risultano anch'esse presenti ma sicuramente non brillanti. L'E5 sembra rendere al meglio le frequenze intermedie: voci e chitarre occupano la scena, senza che però ne venga resa una convincente dimensione tridimensionale. La ricostruzione della scena sonora risulta quindi carente, dal momento che si ha costantemente l'impressione di ascoltare musica in uscita da un paio di cuffie, senza che possa generarsi, anche solo per un attimo, l'illusione di assistere ad un'ariosa performance dal vivo. Nonostante un volume soddisfacente, la sensazione è quella di dover fare i conti con un velo ovattante posto tra l'ascoltatore ed il suono emanato dalle Superlux, in grado di limitare il senso di coinvolgimento durante una sessione d'ascolto particolarmente attenta. L'impressione è confermata dall'avvio di The Thin Line, che non brilla come potrebbe: il charleston è presente ma non ficcante, così come l'intreccio delle voci suona impastato, e meno etereo di quanto si potrebbe desiderare. Il contrasto tra le chitarre ed il basso (che caratterizza fortemente il finale di questo brano, così come il movimento stereoscopico delle tastiere) non viene particolarmente esaltato, la batteria sembra più accompagnare che dettare il tempo, e l'impressione è quella di un suono appiattito, artificialmente compresso. Attraverso il mini amplificatore di Fiio la cassa che detta il tempo di Jet City Woman non picchia come ricordavo (impressione confermata dall'intermezzo parlato di Empire, piuttosto loffio), le chitarre non si ergono sulle trame sottostanti (generando un affascinante senso di attesa ed inquietudine) ed il ride che dovrebbe far brillare il chorus rimane invece abbastanza nascosto, tristemente spuntato nonostante la curva di equalizzazione impostata in Windows Media Player e riportata ad inizio della pagina. Della Brown conferma la correttezza delle impressioni riportate fino a questo momento: il disco è interamente giocato sul contrasto tra le frequenze più alte e quelle più basse, contrasto che si perde dal momento che l'E5 non sembra a proprio agio su nessuno dei due terreni. La voce, protagonista del brano, non presenta particolare dettaglio nè fisicità, come se l'amplificatore non riuscisse a trarre vantaggio dalla facilità con la quale riesce a riprodurla. Al prodotto di FiiO va comunque riconosciuta la capacità di presentare un insieme sicuramente non raffinato, ma almeno compatto: al di là delle difficoltà presentate sugli estremi di frequenza, l'ascolto risulta sempre sufficientemente piacevole, e per nulla faticoso, quasi che l'amplificatore applicasse una democratica, felpata rotondità ad ogni suono. A farne le spese sono i momenti nei quali una convincente resa sonora dovrebbe far sentire l'ascoltatore circondato da voci e strumenti: da questo punto di vista il finale di Empire può esaltare le caratteristiche di ogni amplificatore, allo stesso tempo evidenziandone impietosamente i limiti come in questo caso. Se quindi le parti strumentali non brillano come dovrebbero, l'insieme risulta solido e coerente, nonchè capace di una discreta separazione tra i canali, caratterizzando un prodotto a tutti gli effetti low-cost ma i cui obiettivi in termini di performance sono chiari. L'E5 amplifica ed ovatta, senza distorcere nè colorare il suono per nascondere le sue mancanze, inevitabili in virtù del costo così contenuto. Il prezzo da pagare è una evidente carenza di dettaglio (Another Rainy Night manca di sofferenza e di trasporto umano, ed il "Without You" finale non si insinua nella testa dell'ascoltatore come dovrebbe), generalmente trascurabile per l'ascolto portatile al quale il prodotto cinese è destinato.

Voto 6

Prova n. 2
Amplificatore ibrido Miridiy Class-A
Circa €40.00 su eBay


Presentazione:

Con l'arancione incandescente della sua valvola 6N11 ed il led blu che ne segnala il funzionamento, il Miridiy è un piccolo oggetto capace di affascinare. Caratterizzato da dimensioni contenute e da un nude-look che permette di vedere (e volendo anche toccare) la componentistica utilizzata, questo originale dispositivo sfrutta una sezione digitale per amplificare il suono, ed una sezione stereo valvolare per conferirvi quella tonalità calda ed avvolgente tipica dello stadio analogico. Sparsi su tre lati troviamo il potenziometro per la regolazione del volume, un ingresso RCA ed uno mini-jack, la presa per l'alimentatore esterno ed uno switch, robusto ma piuttosto old-style, per l'accensione e lo spegnimento. 


Caratteristiche tecniche:
  • In Put Power: DC24V
  • Input Sensitivity: 50mV
  • Input Impedance: 100KOhm
  • Out-Put Impedance: 20~600 Ohm
  • Gain: 20dB
  • Frequency response: 10Hz-60KHz +/- 0.25dB
  • Signal/Noise Ratio: >91dB
  • Dynamic range: 84.6dBA(300 ohm) 89.8dBA(33 ohm)
  • THD: 0.016%(300 ohm) 0.45%(33 ohm)
  • IMD + Noise: 0.045(300 ohm) 0.42(33ohm)
Impressioni di ascolto:

Una volta riscaldata per qualche secondo la valvola 6N11 che lo equipaggia, il mini amplificatore Miridiy è pronto per sostituire al leggero fruscio del suo silenzio le note spaziali di Best I Can. La scena sonora appare subito più ampia ed avvolgente di quella resa dall'E5: nonostante un dettaglio non ottimale, il timbro generale è più musicale, esaltato da frequenze alte più facilmente percepibili ad una resa del basso che costituisce uno dei punti di forza di questa amplificazione valvolare. L'ingresso delle chitarre al momento dell'assolo avviene con la giusta enfasi, e se anche il suono non può definirsi propriamente analitico, risulta più semplice posizionare i vari strumenti, seguirli singolarmente e percepire una sensazione di musicalità avvolgente senza soluzione di continuità. I piatti sono piacevolmente ariosi e talvolta tendono a prevalere sugli acuti di Geoff Tate: le prime note di The Thin Line li pongono in primo piano insieme al basso, e con l'ingresso della cassa si completa un quadro che, forse non strabiliante per pura resa tecnica (inutile pretenderlo, con 40 Euro), riesce comunque ad emozionare. Il contrasto tra charleston e basso si percepisce con chiarezza, mentre la mancanza di dettaglio si fa sentire quando l'hi-hat viene chiuso ed accentato, occasione in cui tende ad impastarsi. Il gioco di voci, tastiere ed effetti nel finale della canzone è reso piuttosto bene, con un ottimo senso del ritmo ed una soddisfacente separazione tra i canali. Il Miridiy si rivela quindi in grado di rendere in modo convincente i passaggi che caratterizzano il disco: pur senza eccellere, il mini amplificatore ibrido se la cava egregiamente con ogni tipo di sonorità, scaldando il suono senza distorcerlo e mettendoci, mi si perdoni la mancanza di tecnicismo, del cuore. Con queste premesse la sua resa trabocca di quella umanità che mancava, ad esempio, al più economico E5: pur sofferente nei passaggi più algidi di Jet City Woman (che davvero verrebbero esaltati da una riproduzione analitica e priva di colorazione), il Miridiy si fa perdonare con l'efficace resa dei cori, con una ricostruzione ampia della scena sonora, con una riserva infinita di respiro e volume (difficilmente porterete il potenziometro oltre la metà della sua corsa) ed una generosità di fondo che appaga l'audiofilo meno esigente. Pur non brillantissimo, e senza dimenticare i limiti di una cuffia semi-aperta, l'ampli si comporta elegantemente durante l'intro di Della Brown ed ancor meglio durante il suo delicato intermezzo strumentale, finalmente libero dal fastidioso sibilo delle consonanti: la stessa autorità è dimostrata durante le prime travolgenti note di Another Rainy Night, presentate con grande impatto, così come in Empire, dove è netto lo stacco tra la voce in segreteria telefonica e l'inizio della canzone, con tutti gli strumenti (ed una menzione particolare per la cassa) resi con la giusta potenza.

Voto 7


Prova n. 3
Ampli/DAC Ha-Info NG27 2011
Circa €50.00 su Headfishop.com


Presentazione:

Diversamente dai prodotti che lo hanno preceduto nella prova comparativa, l'NG27 non si limita ad amplificare il suono proveniente dal PC, ma si occupa anche - grazie alla sua componentistica interna - di tradurre in analogici i segnali digitali provenienti dalla porta USB. La conversione quindi non dipende più dall'integrato di Analog Devices, ma viene gestita esternamente dal DAC, che quindi interviene in misura più radicale sul materiale audio che gli viene somministrato (operando, in soldoni, come una scheda audio esterna che decodifica un segnale e poi lo amplifica). Il prodotto Ha-Info si contraddistingue per un peso che comunica solidità, per un'ottima qualità costruttiva e per l'elegante finitura in alluminio: sul pannello frontale, satinato, troviamo l'uscita cuffie, il potenziometro per la regolazione del volume, lo switch di accensione e la relativa spia; sul retro sono invece disponibili l'ingresso USB, un'uscita RCA e l'attacco per l'alimentazione esterna.

Caratteristiche tecniche:

  • Size: 7.5cm x 3.2cm x 11cm (width x high x deep)
  • Input Interface: USB
  • USB INPUT: PC2001 USB-B (plug and play, Windows2000 or Higher)
  • Sampling ratio: 16Bit 32K 44.1K 48k
  • Output Interface:  6.35 stereo headphones output, RCA Line-Out.
  • Analog output:Line-Out (2V RMS)
  • Frequency response: 20 Hz-20Khz. (+0.5,-0.1) (Output Load 32ohm)
  • Noise level, dB (A): <-90dB (Output Load 32ohm)
  • Dynamic range, dB (A): > 90dB (Output Load 32ohm)
  • Stereo crosstalk, dB: <-78dB (Output Load 32ohm)
  • THD + N (total harmonic distortion plus noise): 0.002%.  (1Khz 0dB, Output Load 32ohm)
  • Componenti interni: Burr-Brown PCM2702E + Texas Instruments OPA2604AP + PHILIPS BD139/BD140
Impressioni di ascolto:

Collegato l'alimentatore ed il cavetto USB, il DAC di Ha-Info viene automaticamente riconosciuto da Windows, sostituendosi come spiegato poco sopra alla scheda audio montata sul computer. Il primo aspetto che colpisce di questo amplificatore è la totale mancanze di rumore di fondo: pur alzando il volume al massimo non si avverte infatti alcun fruscio, probabilmente perchè la scheda audio non lavora in assenza di un flusso di dati digitali da elaborare. Com'era prevedibile, l'impatto di Best I Can riprodotta dall'NG27 è differente da quello dell'amplificazione provata fino ad ora, indice di una qualità superiore della componentistica dedicata sia alla conversione D/A che all'amplificazione del segnale. Se dovessi scegliere un aggettivo per definire il suono dell'Ha-Info direi "elegante": la resa del dispositivo è infatti quadrata e brillante, caratterizzata da una bella impressione di equilibrio e misura. Le consonanti pronunciate da Tate, così come gli accenti sui piatti, non sibilano più come avvertito in più occasioni con il Miridiy, la batteria possiede la giusta presenza esplosiva e le chitarre riescono a ricavarsi uno spazio sul resto della scena, al momento dell'assolo. La stessa sensazione di ariosità permea le prime note di The Thin Line: il charleston è finalmente ficcante come lo ricordavo sul Marantz di casa, le voci crescono dolci e sinuose e la resa complessiva di tutti i suoni rimane ordinata, anche nei momenti di maggiore affollamento. Il basso è meno invadente di quanto avvertito con la valvola, e pare fondersi meglio con la cassa: gli interventi di chitarra vengono collocati con precisione nello spazio, la separazione tra i canali appare più netta di quanto ravvisato in precedenza ed il finale del brano, con il suo intrecciarsi di suoni e fiati, rende giustizia alle capacità dell'economico NG27 di produzione cinese. Pienamente soddisfacente la resa di Jet City Woman: il contrasto tra basso e charleston si realizza in modo compiuto, così come nella successiva Della Brown, la voce è riprodotta senza artifici ed è piacevole farsi condurre dalla classe della band lungo tutta la durata di entrambe le canzoni. Stessa brillante sensazione ritroviamo in Another Rainy Night: l'amplificatore svolge il proprio compitino senza alcun tipo di affanno, presentando ogni suono con ordine e giusto impatto. Particolarmente apprezzabili risultano i passaggi sui tom della batteria, il crescendo viscerale delle chitarre ritmiche, la presenza discreta del basso, la resa puntuale dei piatti e la potenza dei cori, nei quali per la prima volta è possibile individuare le singole voci che li compongono. Pregi questi confermati dall'ascolto finale di Empire: la cassa sostiene l'incidere della canzone dall'inizio alla fine, le chitarre scorrono come fiumi in pieni da una parte all'altra della scena ed il charlie scandisce il ritmo senza affaticare. Con un prezzo che lo pone più o meno in linea col prodotto ibrido (ma non dotato di DAC) di Miridiy, l'NG27 costituisce una scelta diversa, consigliata per chi preferisce assecondare i propri gusti con un maggiore dettaglio, un suono più composto e meno colorato. Entrambi i prodotti, pur tenendo conto della diversa impostazione progettuale, se la cavano comunque egregiamente con ogni genere musicale: nulla vieta di ascoltare heavy-metal con la valvola e musica jazz attraverso uno stadio digitale. Le diverse regolazioni che rimane possibile effettuare via software permettono di personalizzare la resa finale di ogni apparecchio, facendo in modo che anche solo uno di essi sia sufficiente per tutti i nostri ascolti domestici e rigorosamente low-cost.

Voto 7,5

Prova n. 4
Lepai LP-200
Circa €15.00 su Goodluckbuy.com




Presentazione:

Tra i prodotti low-cost, questo deve essere uno dei più convenienti: venduto ad un prezzo incredibilmente basso, che talvolta comprende anche le spese di spedizione in ogni anfratto del mondo, il Lepai LP-200 è un amplificatore che può essere utilizzato in auto, così come in ambito domestico. Decorosamente rifinito in alluminio e plastica, l'amplificatore è molto leggero e presenta sul frontale il pulsante di accensione/spegnimento, l'ingresso per le cuffie e tre plasticosi controlli riservati ad alti, bassi e volume. Sul retro troviamo invece due ingressi audio (in formato RCA e mini-jack), la presa per l'alimentatore e le uscite per pilotare una coppia di casse.

Caratteristiche tecniche:
  • P.M.P.O: 2X50W
  • R.M.S: 2X20W
  • Input power: 12v 2A DC
  • Input sensitivity: 200mv
  • Input impedance: 47k
  • Frequence response: 20Hz-20kHz
  • Speaker impedance: 4-8ohm
  • Minimum THD: <0.05%
  • Signal noise to ratio: >100db
Impressioni di ascolto:

Il Lepai LP-200 è un amplificatore che si guarda, ed ascolta, con simpatia, tanto irrisorio è il prezzo al quale i cinesi sono ben disposti a spedirlo in ogni parte del mondo. Ideale per la casa della vacanze, o per realizzare un progetto scolastico, l'economico Lepai è un dispositivo capace di 20W per canale che mi piacerebbe mettere alla prova con un bel paio di casse, in un prossimo futuro. Oggi ci limitiamo invece alla prova dell'uscita cuffia, disposti ad accettare di buon grado qualsiasi prestazione questo piccolo aggeggio sia in grado di fornire. Dopo aver avvertito un fruscio in linea con quello degli ampli presentati di seguito (a differenza del DAC di Ha-Info), calibriamo le manopole di alti e bassi e lasciamo il posto a Best I Can, prima traccia del disco dei Queensryche scelto per questo test senza pretese. Con grande sorpresa rileviamo che la resa del Lepai è assolutamente soddisfacente! Grazie alla generosa riserva di potenza ed alla possibilità di intervenire manualmente sui controlli di tono riusciamo infatti ad ottenere un suono abbastanza brillante e coeso, con i bassi in discreta evidenza, una voce resa senza distorsioni e piatti "semplificati", per quanto presenti. L'LP-200 non brilla certo per dettaglio nè per resa spaziale, eppure si presenta ritmico e di un'autorevolezza modesta, comunque sufficiente a garantire un ascolto piacevole. Meno sibilante del Miridiy e leggermente meno impastato del FiiO (per quanto meno portatile), il Lepai suona meglio di quanto il suo aspetto pacchiano - con tanto di scritta Super Bass e HI-FI CD.MP3.MP4 - lasci sperare. Una volta effettuate le regolazioni del caso, comunque necessarie ad instillare un po' di vita in una performance che diversamente si presenterebbe assai piatta, la prestazione del piccolo amplificatore è godibile: sacrificando spazialità e dettaglio, l'apparecchio offre un suono privo di evidenti difetti, garantendo una riproduzione scorrevole, per quanto non esaltante. Nonostante i contrasti di The Thin Line siano appiattiti dalla mancanza di delicatezza, la canzone si lascia ascoltare senza che particolari artifici ne compromettano la godibilità: le voci sono un po' arretrate ma in felice compagnia di tutto il resto, i piatti sono nitidi per quanto non brillanti, ed anche la separazione tra i canali appare sufficiente a garantire una discreta resa stereofonica. Il finale della canzone sembra addirittura esaltare il Lepai, con un ride arioso ed un charleston altrettanto convincente all'avvio della successiva Jet City Woman. Per quanto la resa musicale non sia vivida come quella fornita dall'NG27, nè colorata come nel caso del Miridiy, l'LP-200 possiede una sua personalità che lo porta a lavorare senza strafare, quasi consapevole dei propri fisiologici limiti: privo di qualità per cui valga la pena scrivere a casa, ma anche di difetti macroscopici che ne impediscano il funzionamento, l'amplificatore si mantiene su una prudente linea mediana che stupisce in virtù del risibile prezzo richiesto. Il basso rimane individuabile lungo tutto l'arco della canzone, i cori appaiono compressi ma non del tutto devitalizzati, manca la dinamica ma non un certo senso del ritmo, che invita ad abbandonarsi alla musica senza curarsi troppo delle specifiche tecniche. Davvero buona la resa delle frequenze più alte, senza sibili, e la corsa dei bassi, che potrebbero essere ulteriormente esaltati intervenendo e sperimentando sulla manopola dedicata. In virtù di quanto detto anche Della Brown viene suonata con una parvenza, se non di eleganza, almeno di elegante misura: per quanto non si riescano a percepire dettagli nel rullante o nelle pennate di chitarra, l'insieme scorre senza intoppi, e sta all'ascoltatore/recensore immaginare un guizzo, anche quando il piccolo Lepai sa di non poterlo regalare. La parte strumentale della canzone si offre con una dolcezza prevedibile, obbligata per limiti costruttivi ma non per questo meno apprezzabile, ed anche se il suono rimane confinato all'interno dei trasduttori al neodimio di Superlux, potenza ed assenza di distorsione permettono una buona esecuzione dei momenti meno complessi, nei quali è minore l'esigenza di distinguere strumenti, finezze esecutive e direzioni. Come naturale, questo amplificatore non rivela nulla del contenuto dei file musicali che già non conoscessi: tuttavia la quadratura con la quale presenta le note iniziali e l'assolo di Another Rainy Night, e la relativa incolumità (with flying colors, direbbero gli anglosassoni) con la quale supera l'impegnativa prova di Empire (avvio di grande impatto, chitarre liquide, timing a tratti  traballante ma ottimo intermezzo parlato), lo rendono probabilmente la vera sorpresa di questa giornata, ed aumenta la curiosità di metterlo alla prova con un paio di vere casse hi-fi, se non altro "per vedere l'effetto che fa".

Voto 6,5