Originariamente pubblicato su Metallized.it
Non bisognerebbe scriverlo subito, no, ma per quel gusto del proibito che ci tiriamo appresso sin dalla tenera età, diciamo subito che quello dei Faithsedge è un hard-rock con i controfiocchi: a metà strada tra la Finlandia dei 69 Eyes e le lunghe autostrade americane, questi "italo & americani" riescono nell'impresa, dagli esiti per nulla scontati, di impastare con maschia dovizia chitarre metal, basso talentuoso, voce pulita ma energica e quell’attitudine algido/chirurgica che talvolta contraddistingue i progetti musicali di qualità. I Nostri si formano all’inizio del 2009 nella surfistica Huntington Beach per volere del cantante/chitarrista/songwriter Giancarlo Floridia e possono dirsi una specie di all-star-band, annoverando tra le proprie fila il produttore/bassista Fabrizio Grossi (Steve Vai, Steve Lukather, Alice Cooper), l’ex chitarrista dei Dokken Alex De Rosso ed il batterista Tony Morra (Rebecca St James, Van Zant). Quasi fossero un ideale seguito del progetto Starbreaker, intrapreso dallo stesso Grossi nel 2005, la band ne riprende le sonorità proponendo un northern rock quadrato e matematico, intriso di punteggiatura, a dispetto delle assolate e scanzonate origini californiane: il risultato è una produzione metallica che privilegia suoni cristallini e collocati nello spazio con precisione, e che recupera in compattezza granitica quello che necessariamente perde in spontaneità.
Forti di una sezione ritmica in grande spolvero, in continuo movimento tra compiaciute escursioni di basso ed imprevedibili fill-in di batteria chiamati a reggere essi soli la scena per qualche secondo, i quattro propongono un ritorno alle sonorità dell’hard-rock più roccioso, solo aggraziato da quella moderna combinazione di potenza, freschezza ed agilità che con sentimento patriottico vorremmo poter definire “italiana”, in grado di scongiurare la sensazione di deja-vu. Incentrate su cori melodici ma mai mielosi né eccessivamente musicali, le canzoni riescono a sorprenderti con guizzi geniali e gitarelle in territorio metal proprio quando ti aspetteresti la caduta di tono, o il fiacco accasarsi nel calduccio della soluzione più banale. Tra sonorità Gibson, sprazzi di tecnica alla Firewind e neon di mille colori come gli Scorpions più glitterati, i Faithsedge possono permettersi di risultare credibili anche quando fingono quell'irruenza indisciplinata che dona al mix di suoni (masterizzati da Tom Baker, già al lavoro con Judas Priest e Motley Crue) una sua personalità, ed una qualche originalità perfino. Consigliati se avete apprezzato il fortunato esordio dei sopracitati Starbreaker (assai meno brillante, invece, il successivo Love’s Dying Wish datato 2008) e se siete alla ricerca di una sorta di metal-rock entry-level non certo immortale ma capace -in tellurici tempi di tutto&subito- di affascinare e coinvolgere con la sua consistenza croccante fuori e morbida dentro (specialmente nel rammollito finale), i Faithsedge sanno mantenere viva l’attenzione dell’ascoltatore anche negli episodi più lenti (Let It End This Way, Hold On) grazie ad una sovra-presenza che li tiene sempre al centro della scena, ed allo spunto melodico/ritmico sopra le righe, capace di solleticare il nostro senso di appagamento senza mai soddisfarlo completamente. Spesso prossima alla melodia perfetta, a volte distaccata ed in qualche rara occasione scolastica, la band trova nell'affiatamento il proprio messaggio, e con esso il desiderio genuino di fare bene, proprio di ogni disco d'esordio: la voglia di proporre prevale su quella di realizzarsi, magari emulando, al punto che questo approccio melodico particolarmente pieno, quasi tridimensionale, ricco negli arrangiamenti senza mai suonare orchestrato nè barocco, ricercato e potente nei suoni senza spacciarsi per inutilmente aggressivo, costituisce qualcosa di prossimo -con cautela- alla definizione di “nuovo”. Le influenze spaziano dal metal classico al moderno (anime che ben convivono in World Keeps Falling Down, ad esempio), passando per chitarre di fine ‘80 e melodie moderne, ma di quell’assimilazione meno immediata che il mercato richiede al metallaro del XXI secolo, più moderno ed open-minded.
I Faithsedge scelgono felicemente di rimanere a metà di molti guadi, tra i Love/Hate di Jizzy Pearl ed il futuro cromato che Zodiac Mindwarp raccontava nello splendido Tattooed Beat Messiah nel 1988, ma -da musicisti navigati- lo fanno con inattaccabile consapevolezza, classe e con le idee spaventosamente chiare. Nell’arco degli oltre quattro minuti lungo i quali si svolgono la maggior parte dei brani, si apprezza la capacità di passare agilmente da un’atmosfera all’altra, dalla decadenza blueseggiante di Faith-Anne all’interessante prog-for-dummies di Somewhere In Your Heart, che ci regala una band sempre padrona dell'ideale palco, complice e divertita, capace di trasmettere sudore educato ed il gusto per una ciambella venuta, lo avrete capito, con un bel bucone nel mezzo. Unico appunto, Fabrizio e compagni arrivano un po’ spompati alle battute finali: le ultime tre/quattro canzoni sono gradevoli come i titoli di coda al termine di un bel film, gustato nella magnificenza del vuaccaesse, e costituiscono un ideale tappeto musicale per tirare le somme, (purtroppo) senza distrazioni, su quanto appena ascoltato. E sotto la pioggia di When It Rains viene voglia di riascoltarlo, questo buon album di debutto, distribuito in tutto il mondo dall'italianissima Scarlet Records.
Voto: 82
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