Prosegue la carriera solista di Tarja Turunen (al secolo Tarja Soile Susanna Turunen Cabuli) tra nuove suggestioni orientaleggianti e caleidoscopiche visioni tribali, che sembrano fatte apposta per allontanare stilisticamente la talentuosa cantante e compositrice finlandese dall’esperienza a tinte più algide dei Nightwish, fondati nel 1996 insieme a Tuomas Holopainen ed Emppu Vuorinen. Nonostante i pregevoli risultati di critica e di vendite ottenuti con la band, autrice di alcuni dei passaggi orchestrali tra i più credibili e trascinanti in ambito Symphonic Metal, Tarja intraprende il suo personale percorso artistico nel 2006, citando motivazioni personali, introducendo nuove contaminazioni, nuovi suoni ed atmosfere inedite, quasi a giustificare la scelta del distacco con la volontà di spingersi oltre la sfera prettamente metal. Colours In The Dark rappresenta oggi la quarta tappa di un percorso personale e fortemente voluto, e saluta il ritorno discografico di un’artista tecnicamente capace che in poco tempo ha saputo lasciare un’impronta iconica e crearsi un pubblico affezionato ad ogni latitudine, che ha ripagato la propria beniamina con i successi commerciali tributati a My Winterstorm (2007) e What Lies Beneath (2010). Il titolo del disco, distribuito in tutto il mondo con il supporto di Universal Music, sembra voler nuovamente alludere alla diversità, dei colori e delle tradizioni, celebrando le differenze senza dimenticare - con malinconico spirito nordico - l’oscurità che finalmente le riassorbe e le contiene. Il cadenzato movimento classico di oboe e rullante che detta il tempo di Victim Of Ritual certo non tradisce lo stile della finlandese, mentre un elemento di novità è dato dallo stacco repentino, di particolare impatto, che assicura il passaggio dalla strofa al potente ritornello, già assaggiato online al momento dell'uscita del singolo. All'intermezzo strumentale del brano va dato il merito di acclimatare l'ascoltatore con una serie di micro-passaggi orecchiabili e comprensibili, che permettono di immergersi per gradi in una scaletta che, protraendosi per oltre un’ora, prevederà una durata media dei brani di circa sei minuti.
Effetti elettronici, riff chiaramente identificabili ed una produzione ariosa e potente, ma non elaborata fino all'eccesso, appaiono funzionali ad un disco che sin dai primi minuti dà l'impressione di non voler strafare, nè dimostrare nulla. I ritornelli si succedono diretti e ripetuti a prova delle memorie più labili, con l'attenzione rivolta alla forma-canzone piuttosto che all'esaltazione dei pur bravi musicisti coinvolti. Basti pensare alla prova particolarmente misurata di Mike Terrana (spesso autore di un drumming ben più articolato, e qui quasi sprecato), agli assoli di chitarra proposti con parsimonia ed alla stessa Tarja, che sembra voler offrire una prova professionale pur conservandosi a debita distanza dal limite e dalla novità promessa. Colours In The Dark è un disco ben strutturato ed una tappa prudente, portatore di una diffusa musicalità da colonna sonora che mai si traduce in un’orchestrazione particolarmente complessa o commovente, in uno slancio rabbioso, in un gioco fascinoso di azione/reazione. Con un occhio alla riproducibilità live, le dieci canzoni vivacchiano su curiosi intermezzi, momenti parlati ed ossature di chiara matrice pop, tutte indistintamente protagoniste di un crescendo prevedibile che le porta al chorus e senza che l'impasto delle note crei un'energia con la quale giocare, frenandola, proiettandola, spezzandola e poi ricomponendola come nel Symphonic al quale le esperienze passate, da molti rimpiante, ci avevano abituato. In questo la scelta solista operata dal soprano finlandese si dimostra coerente, perchè davvero non propone lo stesso prodotto sotto un diverso marchio, bensì consolida una via femminile ed accessibile al genere, filtrata da una visione sognante e spesso romantica (o semplicemente commerciale), che una band relegata in secondo piano - quasi assorbita dall’oscurità al pari del concept alla base del titolo - asseconda con un tatto ed una discrezione obbligati, forse perfino eccessivi. Il risultato di tanta misura è tale da minare la vitalità del disco, producendo distacco, e con esso la sensazione di un cantato sovrapposto ad una compassata base ritmica, piuttosto che una combinazione felice di talenti e spinte contrapposte che avrebbe garantito una dinamica più vivace ed una più intensa varietà di suggestioni. La facilità con la quale un'ora abbondante di musica sembra trascorrere è indice di una sufficiente qualità di fondo che permette al disco di scorrere fluido, tra interessanti soluzioni tecniche, confusioni strumentali ed immancabili vocalizzi, i quali talvolta sembrano coniugare l’afflato artistico con una presenza da contratto, esibendo una sostanziale inutilità di fondo. Se in un’ottica di lean management dovessimo individuare quali sono i momenti di questo disco in grado di creare vero Valore, eliminando le parti inutili/ridondanti, otterremmo un tempo di esecuzione pesantemente ridotto: scopriremmo che Colours In The Dark vive (dignitosamente) di continue aggiunte, di geometrico calcolo, di successioni ben organizzate, ma che i momenti davvero coinvolgenti (se volessimo identificare il Valore con l’Emozione, l’Affezione, la Nostalgia di un passaggio da riascoltare all’infinito), al di là di una generale scioglievolezza da cioccolatino svizzero, possono qui trovare comodo albergo sulle dita di una mano. Il ritorno di Tarja Turunen non offre quella sorprendente commistione di stili che ci era stata anticipata, nè traduce in musica l'ingente capitale di talento al quale avrebbe potuto attingere: al contrario, e nonostante l’apparente sontuosità del tutto, si traduce in un’interpretazione paradossalmente intima e conservativa, che la costruzione sinfonica sembra più spesso diluire, impoverire, banalizzare, piuttosto che esaltare. Non siamo quindi al cospetto di un disco originale nè tantomeno di un’evoluzione stilistica: il quarto album della cantante cresciuta interpretando Whitney Houston ed Aretha Franklin è piuttosto una tappa di consapevolezza, più riflessiva che dinamica, veicolo di un protagonismo misurato/autoriale/dimesso che a tratti fa tanto solitudine, gradevole al momento dell’assaggio ma condannato dalle sue stesse rinunce ad una longevità relativamente breve.
Effetti elettronici, riff chiaramente identificabili ed una produzione ariosa e potente, ma non elaborata fino all'eccesso, appaiono funzionali ad un disco che sin dai primi minuti dà l'impressione di non voler strafare, nè dimostrare nulla. I ritornelli si succedono diretti e ripetuti a prova delle memorie più labili, con l'attenzione rivolta alla forma-canzone piuttosto che all'esaltazione dei pur bravi musicisti coinvolti. Basti pensare alla prova particolarmente misurata di Mike Terrana (spesso autore di un drumming ben più articolato, e qui quasi sprecato), agli assoli di chitarra proposti con parsimonia ed alla stessa Tarja, che sembra voler offrire una prova professionale pur conservandosi a debita distanza dal limite e dalla novità promessa. Colours In The Dark è un disco ben strutturato ed una tappa prudente, portatore di una diffusa musicalità da colonna sonora che mai si traduce in un’orchestrazione particolarmente complessa o commovente, in uno slancio rabbioso, in un gioco fascinoso di azione/reazione. Con un occhio alla riproducibilità live, le dieci canzoni vivacchiano su curiosi intermezzi, momenti parlati ed ossature di chiara matrice pop, tutte indistintamente protagoniste di un crescendo prevedibile che le porta al chorus e senza che l'impasto delle note crei un'energia con la quale giocare, frenandola, proiettandola, spezzandola e poi ricomponendola come nel Symphonic al quale le esperienze passate, da molti rimpiante, ci avevano abituato. In questo la scelta solista operata dal soprano finlandese si dimostra coerente, perchè davvero non propone lo stesso prodotto sotto un diverso marchio, bensì consolida una via femminile ed accessibile al genere, filtrata da una visione sognante e spesso romantica (o semplicemente commerciale), che una band relegata in secondo piano - quasi assorbita dall’oscurità al pari del concept alla base del titolo - asseconda con un tatto ed una discrezione obbligati, forse perfino eccessivi. Il risultato di tanta misura è tale da minare la vitalità del disco, producendo distacco, e con esso la sensazione di un cantato sovrapposto ad una compassata base ritmica, piuttosto che una combinazione felice di talenti e spinte contrapposte che avrebbe garantito una dinamica più vivace ed una più intensa varietà di suggestioni. La facilità con la quale un'ora abbondante di musica sembra trascorrere è indice di una sufficiente qualità di fondo che permette al disco di scorrere fluido, tra interessanti soluzioni tecniche, confusioni strumentali ed immancabili vocalizzi, i quali talvolta sembrano coniugare l’afflato artistico con una presenza da contratto, esibendo una sostanziale inutilità di fondo. Se in un’ottica di lean management dovessimo individuare quali sono i momenti di questo disco in grado di creare vero Valore, eliminando le parti inutili/ridondanti, otterremmo un tempo di esecuzione pesantemente ridotto: scopriremmo che Colours In The Dark vive (dignitosamente) di continue aggiunte, di geometrico calcolo, di successioni ben organizzate, ma che i momenti davvero coinvolgenti (se volessimo identificare il Valore con l’Emozione, l’Affezione, la Nostalgia di un passaggio da riascoltare all’infinito), al di là di una generale scioglievolezza da cioccolatino svizzero, possono qui trovare comodo albergo sulle dita di una mano. Il ritorno di Tarja Turunen non offre quella sorprendente commistione di stili che ci era stata anticipata, nè traduce in musica l'ingente capitale di talento al quale avrebbe potuto attingere: al contrario, e nonostante l’apparente sontuosità del tutto, si traduce in un’interpretazione paradossalmente intima e conservativa, che la costruzione sinfonica sembra più spesso diluire, impoverire, banalizzare, piuttosto che esaltare. Non siamo quindi al cospetto di un disco originale nè tantomeno di un’evoluzione stilistica: il quarto album della cantante cresciuta interpretando Whitney Houston ed Aretha Franklin è piuttosto una tappa di consapevolezza, più riflessiva che dinamica, veicolo di un protagonismo misurato/autoriale/dimesso che a tratti fa tanto solitudine, gradevole al momento dell’assaggio ma condannato dalle sue stesse rinunce ad una longevità relativamente breve.
[5]
Symphonic Metal, 2013
EarMusic
Tracklist:
- Victim Of Ritual
- 500 Letters
- Lucid Dreamer
- Never Enough
- Mystique Voyage
- Darkness (Peter Gabriel cover)
- Deliverance
- Neverlight
- Until Silence
- Medusa
Tarja Turunen (Voce)
Alex Scholpp (Chitarra)
Julian Barrett (Chitarra)
Christian Kretschmar (Tastiere)
Kevin Chown (Basso)
Doug Wimbish (Basso)
Max Lilja (Violoncello)
Mike Terrana (Batteria)
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