lunedì 19 agosto 2013

Recensione TABERAH - NECROMANCER



La necromanzia [dal greco νεκρός (nekrós), "cadavere", e μαντεία (manteía), "profezia o divinazione"] è una forma di magia che riguarda la comunicazione con il mondo dei morti, per predire il futuro o scoprire conoscenze nascoste. Ma il termine necromancer non identifica solo chi voglia dedicarsi a quest’arte, sondandone l’oscura materia, ma anche il titolo del secondo album degli australiani Taberah (in ebraico acceso, ardente), quartetto proveniente dalla Tasmania che Stu Marshall (Death Dealer, Empires Of Eden, Dungeon, Paindivision) ha definito autore di “uno dei migliori dischi metal che siano mai usciti dall’Australia negli ultimi dieci anni”. Band di impatto immediato e per nulla oscuro, a proprio agio su un palco dal quale - assicurano nella biografia - propone uno spettacolo pieno di energia, divertimento ed interazione col pubblico, i Taberah si formano nel 2004 per volontà di Jonathon Barwick (voce) e Tom Brockman (batteria): ad ispirare lo stile dei due ci sono Iron Maiden e Black Sabbath , AC/DC e Thin Lizzy, fino ai Queen ed ai più moderni The Darkness. La crescita della band permetterà loro di accumulare negli anni successivi alcune significative esperienze dal vivo, supportando Motorhead (si dice che Lemmy abbia scelto personalmente la band tra diverse pretendenti al ruolo di opener), Paul Di’anno (ex Iron Maiden), Tim Owens (ex Judas Priest), Black Majesty ed altri ancora. Il debutto discografico avviene nel 2011 con The Light Of Which I Dream, disco che rappresenta la sintesi degli anni “di sangue, sudore, birre e lacrime” spesi in lungo e in largo sulle strade della Terra dei Canguri: ben accolto da pubblico e critica, The Light Of Which I Dream è un album che si ama o si odia (sono parole dello stesso Barwick) e che assicura al gruppo l’entusiasmo necessario per chiudersi nuovamente in studio e dare alle stampe le undici tracce che ascolteremo oggi. La sintesi tra presente e passato è uno degli elementi caratterizzanti lo stile dei giovani australiani, donando alla loro musica la nobiltà della reminiscenza classica e, allo stesso tempo, la freschezza metallara e sfacciata di una formazione moderna. Ritmiche di chitarra dai pattern tradizionali e cori avvolgenti già in avvio di canzone ben si mescolano con momenti più groovy, propulsioni di doppio pedale ed assoli di gusto moderno, tecnici e melodici, creando uno stile pieno, energico e di idea veloce, forte di una citazione intelligente che omaggia i nomi ricordati nelle premesse invece che limitarsi a copiarli. Thrash (The Hammer Of Hades), speed, classic (Burn) e heavy anthemico (Burning In The Moonlight) dei tempi d’oro - fine anni ottanta e primi novanta, diciamo - sono eleganti e credibili virgole di un discorso generalmente più ampio e melodico, interpretato da Barwick con un navigato equilibrio tra acerbo, pulito e graffiante. Non sfugge come l’esercizio citazionista possa rivelarsi un’arma a doppio taglio, dal momento che il confine tra copia-carbone e raffinata-contaminazione può rivelarsi piuttosto labile, in tempi come quelli attuali nei quali la circolazione delle idee confonde gli stili ed i generi, mercanteggiando loop e successioni di note con uguale disinvoltura. Solo la capacità di attingere, metabolizzare ed ornare ben dosando gli ingredienti e mettendoci quanto più possibile del proprio assicura un esito felice dell’operazione ed avvicina i Taberah ad altre band, penso ad esempio ai Trivium o ai nostrani Voodoo Highway, in grado di mostrare una maturità stilistica superiore all'anagrafica dei loro componenti. Dagli undici brani di Necromancer, inclusa la bella bonus track, trasuda una grande capacità di ascolto e rielaborazione, con un tocco divertito, personale e contemporaneo, che si evidenzia ora nella ricerca di una soluzione più complicata, ora in una linea di basso particolarmente efficace, ora in una fresca dinamica corale che rafforza l'impatto di ogni singolo brano in scaletta, compreso il momento romantico di Don’t Say You’ll Love Me. Proprio ai cori si deve una particolare menzione, tanta è l'attenzione riservata a questo cruciale elemento dal quartetto australiano: ad essi infatti non è dato solo il prevedibile compito di rafforzare i chorus, ma anche di intervenire in modo non scontato con controcanti ed intermezzi di raffinata impostazione neoclassica (My Dear Lord), con una sensibilità compositiva non comune tra band al quasi-esordio discografico. In virtù di un approccio potente, supportato da frequenti aperture stilistiche ed una circolarità compositiva che rende ogni brano riconoscibile, i Taberah suonano come una band tecnicamente capace ma anche ben consigliata da Theo Batchelor (registrazione), Joe Haley (produzione e missaggio) e lo stesso Stu Marshall (mastering): è grazie ad un intelligente lavoro di squadra che Necromancer (inizialmente intitolato MMXII) suona dal primo all’ultimo minuto solido e consapevole, cattivo e drammatico quando serve, privo del momento di ingenuità che ad un secondo album pur si perdonerebbe volentieri. 




Con questa nuova uscita il gruppo formato da Barwick e Brockman si conferma pronto per continuare un'attività live che li porterà in giro per il mondo a proporre buona musica e consolidare una reputazione in giusta ascesa: forti di una provenienza esotica che li rende benvoluti outsider (chi non ricorda con simpatia le avventure di Taz, il Diavolo della Tasmania?), di un lato romantico che ne completa la dimensione (One Goon Bag Later) e di un materiale generalmente interessante e ben assortito, che con tutta probabilità potrà trarre ulteriore giovamento dall'energia dell'esibizione dal vivo, ai Taberah non rimane che continuare sulla strada intrapresa, capitalizzando su esperienze internazionali e futuri ascolti per definire ulteriormente - senza stravolgerli, perchè if it ain’t broke don’t fix it - lo stile e la personalità di questa sorprendente heavy metal band with a heart of rock'n'roll.

[7]

Heavy Metal, 2013

Dust On The Tracks Records

Tracklist:
  1. 2012
  2. Dying Wish
  3. Burning In The Moonlight
  4. Necromancer
  5. Warlord
  6. Don’t Say You’ll Love Me
  7. For King And Country
  8. One Goon Bag Later
  9. The Hammer Of Hades
  10. My Dear Lord
  11. Burn (Bonus Track)
Line-up:

Jonathon Barwick (Voce, Chitarra)
Myles Flood (Chitarra)
Dave Walsh (Basso)
Tom Brockman (Batteria)

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