sabato 28 marzo 2020

Recensione ME AND THAT MAN - NEW MAN, NEW SONGS, SAME SHIT, VOL.1


Me And That Man
Recensione: New Man, New Songs,
Same Shit, Vol.1



Accade a volte che tanto più “estremi” sembrano certi generi, tanto più circoscritte immaginiamo le abilità espressive in capo ai loro migliori interpreti: nonostante una certa specializzazione non sia di per sé deleteria, se secondo Malcolm Gladwell (Fuoriclasse, 2008) ci vogliono almeno diecimila ore di allenamento per diventare davvero bravi a fare qualcosa, la constatazione che un artista possa sempre sorprenderci affrancandosi dall’immagine che gli abbiamo cucito addosso rende la commedia umana assai più imprevedibile e divertente. 

E’ questo il caso di Adam Darski, quel Nergal fondatore e frontman dei black metallers polacchi Behemoth, che già nel 2017 ci aveva stupito con il “blues / southern / gothic” di Songs Of Love And Death e che oggi ne propone un’ideale continuazione articolata nelle undici tracce di New Man, New Songs, Same Shit, Vol.1 

Ora come allora, il rock di Nergal sembra raccogliere e nobilitare tutta l’americana che i Ghost hanno utilizzato nel recente passato per dare spessore e contesto alla nuova produzione: languido e disilluso (Coming Home), polveroso ed allo stesso tempo notturno (Man Of The Cross), lo stile di queste new songs è quello cantautoriale, ruvido e senza filtro che una volta apparteneva a Johnny Cash, Nick Cave o Roy Orbison, mentre oggi i suoi suoni analogici trovano un’insperata contemporaneità in quella scena indipendente alla quale attingono volentieri le serie televisive “autoriali” trasmesse dalle piattaforme di streaming.

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Ascoltato con
Cuffie Superlux HD-668B
DAC LH Labs Geek Pulse (ESS9018K2M Core)
Alimentatore LH Labs Linear Power Supply
Filtro Audioquest Jitterbug
Software Foobar2000 ver. 1.3.16 (WIN10 Pro / 64bit)

giovedì 19 marzo 2020

Recensione RETURN - V REMASTERED

Return
Recensione: V-Remastered



Formati all’inizio degli anni ottanta da Knut Erik Østgård (voce), Steinar Hagen (chitarra), Tore Larsen (basso) e Øyvind Håkonsen (batteria) ed ispirati da Thin Lizzy, Iron Maiden e Police, ai norvegesi Return bastò la pubblicazione di un solo album (To The Top) per attrarre l’attenzione della major CBS, per la quale avrebbero successivamente inciso Attitudes (1988), Straight Down The Line (1989) e Fourplay (1991). 

Con V, uscito per EMI Norway, i quattro si proposero di dare alle stampe un album che suonasse ancora più vario, americano ed internazionale: un proposito realizzato, ma che non fu sufficiente a resistere all’ondata grunge che – anche in Scandinavia – avrebbe di lì a pochi mesi reso la vita parecchio difficile a generi più scanzonati come l’AOR. 

Sono passati ormai trent’anni da quel quinto album del 1992, anno in cui la Danimarca battè la Germania 2-0 e vinse inaspettatamente il campionato Europeo di calcio (“A Danish fairy tale”, si leggeva nella pubblicità della birra Carlsberg), ed il fatto che nell’ambito del rock melodico non si sia da allora assistito a particolari scossoni stilistici rende remaster e riedizioni delle opzioni appetibili e facilmente praticabili da band ed etichette.

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mercoledì 18 marzo 2020

Recensione DEADRISEN - DEADRISEN


Deadrisen
Recensione: Deadrisen



Deadrisen arrivano freschi freschi dalla East Coast degli Stati Uniti e sono una creatura di Rod Rivera e Mike LePond: il primo è un chitarrista con oltre trent’anni di esperienza sulle scene del Christian Metal (molti dei quali passati in sodalizio con il singer Johnny Bomma) mentre LePond è, senza dover aggiungere altro, il bassista dei piro-e-tecnici Symphony X. 

E’ la dichiarata volontà di fondere tra loro diverse influenze, che spaziano dal flamenco alla musica mediorientale, passando per heavy metal anni settanta/ottanta e hard rock, che rende interessante questa nuova proposta: un obiettivo ambizioso e sicuramente alla portata di musicisti navigati, ma che normalmente richiede un lavoro di cesellatura finissimo – di diplomazia stilistica se non di attento riordino, alla Marie Kondo – per portare a risultati originali e dalla chiara, sostenibile identità. 

E non si può certo dire che i Deadrisen, impegnati in questo tipo di ricerca, abbiano intenzione di menare il proverbial can per l’aia: pagato il dazio della cinematografica intro, il mi presento di rito (Tapparella, Elio e Le Storie Tese, 1996) è costituito da un assalto programmatico di chitarre e batteria che non concede alcuno spazio all’immaginazione.


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martedì 10 marzo 2020

Recensione BLUE OYSTER CULT - HEAVEN FORBID

Blue Oyster Cult
Recensione: Heaven Forbid




Che i Blue Oyster Cult rappresentino un asset decisamente importante nel catalogo di Frontiers Records lo dimostra il numero di uscite dedicate alla band americana che si sono succedute nel corso di poche settimane. Heaven Forbid, nel caso specifico, è il tredicesimo album in studio degli statunitensi, uscito originariamente nel 1998 ed affidato per questa ristampa alla cura – ed alla rimasterizzazione – di Alessandro Del Vecchio in quel di Varese. 

Questa riedizione permette di portare nuovamente sotto ai riflettori un disco che, per il dinamismo arrembante delle sue soluzioni, suona del tutto attuale, complici anche l’ottima opera di assemblaggio da parte del produttore originale Donald “Buck Dharma” Roeser ed il contributo ai testi reso dall’autore di fantascienza John Shirley

Della natura di “rock per intellettuali” che identifica tutta la discografia dei Blue Oyster Cult avevo recentemente avuto occasione di scrivere nel corso della recensione di Hard Rock Live Cleveland 2014: ciò che Heaven Forbid aggiunge a quella valutazione è una straordinaria sensazione di freschezza ed accessibilità (X-Ray Eyes), caratteristiche che costituiscono un biglietto da visita ottimale per avvicinare vecchi e nuovi adepti a queste sonorità piacevolmente riff-oriented.


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Recensione BLUE OYSTER CULT - AGENTS OF FORTUNE LIVE 2016

Blue Oyster Cult
Recensione: Agents Of Fortune - Live 2016



Per celebrare il quarantesimo anniversario del loro album Agents Of Fortune, pubblicato nel 1976 e diventato in breve tempo disco di platino anche grazie alla presenza della hit (Don’t Fear) The Reaper, i Blue Oyster Cult lo hanno eseguito dal vivo e nella sua interezza nell’Aprile del 2016, al cospetto di un ristretto gruppo di invitati riunitisi presso i Red Studios di Hollywood. 

Quello di una progressiva e riuscita “sofisticazione”, nell’accezione positiva di caratteristica di un’apparecchiatura, di una macchina o di un impianto che sono stati progettati e realizzati con criterî tecnicamente avanzati e con impiego di materiali e componenti raffinati, così da offrire elevate prestazioni (Treccani), è probabilmente l’aspetto che – da Agents Of Fortune in poi – renderà chiaramente riconoscibile la discografia della band: la maestria nel sorprendere l’ascoltatore componendo generi e sonorità distinte, senza che la profusione di tecnica vada a discapito del puro intrattenimento, è ancora oggi una delle prerogative che predispongono benevolmente all’ascolto di un qualsiasi CD dei Blue Oyster Cult.


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lunedì 9 marzo 2020

Recensione GRAND DESIGN - V

Grand Design
Recensione: V


Formati nel 2006 dal cantante e produttore svedese Pelle Saether, i Grand Design hanno da sempre perseguito la missione di “far funzionare le sonorità del rock anni ottanta nel ventunesimo secolo”, orgogliosi di come hanno saputo alternare uscite discografiche ed attività live senza mai rinunciare al loro suono e ad uno stile che la band stessa definisce – orgogliosamente e senza mezzi termini – old. Sono dunque sufficienti queste brevi premesse per comprendere come V sia il quinto lavoro di una realtà ampiamente rodata e con le idee chiare, che attraverso la riproposizione ha saputo ritagliarsi uno spazio e che accoglie con diffidenza la possibilità di riservare sorprese al proprio pubblico. 

Se introdurre un concetto di originalità suona quindi del tutto fuori luogo, bisogna dire che la combinazione tra suoni affettati, ritmiche relativamente aggressive ed il particolare timbro di Saether (immaginate un ibrido tra gli svedesi Abba ed i danesi Aqua, quelli di Barbie Girl, però prestato al rock) possiede quel carattere divisivo che, almeno, non lascia indifferenti. La proposta che arriva da Västerås non è comunque così inedita da trascendere le definizioni: questo è melodic rock a tutti gli effetti, e come tale costruito, levigato e spuntato in nome di una costante, suprema e cioccolatosa scioglievolezza.


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domenica 1 marzo 2020

Recensione JESSE DAMON - DAMON'S RAGE

Jesse Damon
Recensione: Damon's Rage


Già cantante con i Silent Rage (che, messi sotto contratto da Gene Simmons dei Kiss ottennero una buona esposizione su MTV alla fine degli anni ottanta) e successivamente protagonista di una carriera solista che lo ha visto pubblicare fino ad oggi cinque album, il cantante e chitarrista californiano Jesse Damon torna con un mix di rock melodico e metal, prodotto e suonato insieme al polistrumentista Paul Sabu

Frutto del lavoro solingo di due soli artisti, Damon’s Rage vorrebbe dunque rappresentare una proposta fresca ed originale, realizzata in completa libertà creativa ed in grado di dare libero sfogo all’estro di entrambi. In realtà, “compassato” è forse l’aggettivo che meglio racconta lo sviluppo traccia dopo traccia di Damon’s Rage, un disco che pare sequenziato su una vecchia versione di Cubase tanto regolari sono le sue strutture. 

Certamente l’utilizzo di una batteria elettronica – o perlomeno dai suoni elettronici – non aiuta l’album a suonare grintoso e sanguigno. E, se proprio vogliamo dirla tutta, pure l’invio al recensore di file con bitrate variabile, come si usava quando avevamo i modem a cinquantasei kappa e nessuno poteva chiamare mentre esploravamo online, non predispone ad un ascolto da connoisseur.

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