giovedì 21 maggio 2020

Recensione PRETTY MAIDS - MAID IN JAPAN, FUTURE WORLD LIVE


Pretty Maids
Recensione: Maid in Japan
Future World Live



Dei Pretty Maids ho sempre apprezzato una certa flessibilità stilistica, ovvero la capacità di risultare convincenti e credibili sia nelle vesti di consumati metaller che in quelle di hard rocker cantori di storie e di amori più o meno tormentati. Un equilibrio certamente favorito sia dalle origini scandinave, dove prendersi troppo sul serio e mantenersi distaccati non è cosa, sia dalla sicurezza data da un seguito nutrito ed entusiasta che fin dal 1981 ne ha accompagnato la carriera. 

Maid In Japan – Future World Live 30th Anniversary” regala ai fan la possibilità di riascoltare nella sua interezza – con l’aggiunta di una manciata di chicche – l’esecuzione live di “Future World”, un classico della discografia della band uscito originariamente nel 1987, che ha avuto luogo al Club Città di Kawasaki nel 2018. 

Se per celebrare il trentennale i Pretty Maids avevano scelto la vicina Svizzera, per i quarant’anni di carriera i danesi decidono di far visita all’estremo oriente: avido consumatore di metal melodico di stampo nordico, il Giappone ha sempre costituito un mercato di riferimento per il quintetto fronteggiato da Ronnie Atkins, e la scelta di registrare proprio là un paio di spettacoli assicura la presenza di un pubblico folto e partecipe.

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Ascoltato con
Cuffie Superlux HD-668B
DAC LH Labs Geek Pulse (ESS9018K2M Core)
Alimentatore LH Labs Linear Power Supply
Filtro Audioquest Jitterbug
Software Foobar2000 ver. 1.3.16 (WIN10 Pro / 64bit)

Recensione HER CHARIOT AWAITS - HER CHARIOT AWAITS


Her Chariot Awaits
Recensione: Her Chariot Awaits



Inedito sodalizio tra il chitarrista e produttore americano Mike Orlando (Adrenaline Mob) e la cantante spagnola Aylin (al secolo Pilar María Del Carmen Mónica Giménez García, già sentita nell’edizione spagnola di The X Factor e poi per otto anni con i norvegesi Sirenia), Her Chariot Awaits è un progetto al debutto sotto l’egida di Frontier Records. Nonostante l’appellativo “melodico” scelto dai ragazzi del marketing, il genere proposto è un hard rock piuttosto dinamico e robusto: immaginate qualcosa tra gli slanci più rock dei Garbage, il nervo dei Guano Apes e le melodie dei No Doubt

Ritmi sostenuti e sincopati, parti rappate ed il drumming decisamente pieno di Jeff Thal sono le basi di un rock/alternative al quale non mancano grinta, sudore ed una buona dose di tecnica: la voce sottile della singer spagnola potrà non piacere a tutti (la presenza scenica non è quella di una Ely Vásquez dei Six Magics né di una Tave Wanning degli Adrenaline Rush) ma la personalità per rivendicare il proprio spazio anche all’interno dei passaggi più heavy (“Dead Gone”) c’è, ed è espressa con disinvoltura. 

Una seconda menzione la merita il lavoro di chitarra svolto dallo stesso Orlando: ad una certa esuberanza ritmica si accompagnano assoli frequenti e complessi, come lecito aspettarsi da chi – dopotutto – ha fondato una band con Mike Portnoy e Russell Allen.

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martedì 19 maggio 2020

Recensione FM - SYNCHRONIZED


FM
Recensione: Synchronized




Fondati a Londra nel 1984 e giunti al debutto discografico appena due anni più tardi, gli FM non hanno da allora mai più perso lo scettro di alfieri del rock melodico britannico: ben rodati on the road al seguito di Tina Turner, Foreigner, Gary Moore e Bon Jovi, Steve Overland e compagni hanno saputo – con pari autorevolezza – marcare il territorio europeo e fare sentire la propria ingombrante assenza, nel lungo periodo che a cavallo dei due secoli li ha visti lontani dalle scene. A due anni dall’ottimo “Atomic Generation” il quintetto aggiunge dunque un ulteriore tassello alla seconda giovinezza che ha incarnato dal comeback del 2007, e lo fa all’insegna della sincronia, dell’unisono, della contemporaneità. 

Se penso ad un gruppo al suo dodicesimo album, ed al senso che ciascuna sua nuova uscita riesce a mantenere nel cuore di pubblico e critica, non posso che ammirare la serenità del rapporto che questi artisti hanno saputo instaurare con lo scorrere delle ore: un accordo alla Dorian Gray che oggi rinsaldano con il basso sexy e poderoso della title track, con la dolcezza senza tempo di “Ghosts Of You And I” e con le tastiere eleganti di Jem Davis. Preziosità ben contestualizzate, artifici di spiazzante spontaneità e parti di un tutto che nelle mani degli FM rappresenta la quintessenza del rock melodico, il suo distillato più pulito, la sua forma più ricercata ed armoniosa. 

Il vento tra i capelli di “Superstar” e le onde di “Broken” confermano l’abilità di dare struttura e credibilità al sogno: dove i trentasei anni di carriera si sentono tutti è nella capacità di suonare melodici eppure compatti, dolci ma non melliflui, di rockeggiante scioglievolezza grazie ad assoli sanguigni che tratteggiano una leggerezza di sostanza continentale (“Change For The Better”) ed infondono personalità, anche agli episodi più derivativi (“Best Of Times”).

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lunedì 18 maggio 2020

Recensione DENNIS DEYOUNG - 26 EAST, VOLUME 1


Dennis DeYoung
Recensione: 26 East, Volume 1



Parte di un viaggio autobiografico che si preannuncia spalmato da Frontiers Records su due uscite, “26 East” è l’album con il quale Dennis DeYoung, membro fondatore degli Styx, racconta una carriera che lo ha visto abbandonare le umili origini di Chicago per proiettarsi – dalla fine degli anni settanta – nell’Olimpo del rock. 

Fin dalle prime note, l’impressione è anzitutto quella di trovarsi al cospetto di un grande spettacolo, nel suo senso più teatrale e tradizionale: ci sono spazi e buon passo, cori alla Rocky Horror Picture Show e quell’incidere cadenzato e compassato che associamo al rock felice della sua maturità. Divertire divertendosi sembra essere il filo conduttore dell’opera, che tra dialoghi strumentali tra musicisti, originali inserti neoclassici ed una attitudine generalmente brillante accompagna in un ascolto colorato, pomposo, rotondo. 

Complice la durata sostanziosa di ciascuna traccia, “26 East” è un insieme di suggestivi affreschi, piuttosto che una successione di orecchiabili ritornelli: sotto l’apparente semplicità del suo richiamo melodico (“You My Love” ed “Unbroken” riescono ad essere belle perfino nella loro banalità), il disco nasconde arrangiamenti complessi, soluzioni inaspettate e quella caratteristica – propria del mercurio intrappolato nei termometri di una volta – che vede i suoi tempi dilatarsi tanto più aumenta la temperatura dell’esecuzione.

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giovedì 14 maggio 2020

Recensione SOULS OF TIDE - BLACK MAGIC


Souls Of Tide
Recensione: Black Magic




Vengono dall’antica città di Hamar in Norvegia, hanno alle spalle esperienze di stampo rock e metal e hanno deciso, con il progetto “Souls Of Tide”, di dare nuovo smalto alle sonorità di Deep Purple, Led Zeppelin, Black Sabbath e The Doors: questo in sintesi è il percorso di sei musicisti che, dopo il debutto discografico sulla lunga distanza avvenuto nel 2016 con “Join The Circus”, tornano a far parlare di sé con questo nuovo “Black Magic”. 

Il disco è innanzitutto brillante, arioso e dinamico: non siamo insomma di fronte ad una rivisitazione pretenziosa, ad un intervento con velleità archeo-culturali o ad una comoda scopiazzatura di brani famosi o riesumate B-side. Al contrario, quello dei “Souls Of Tide” è un rock estremamente radiofonico e moderno, al quale le tastiere di Kjetil Banken (“Firegirl”) ed il lusso contemplativo di certi interventi chitarristici aggiungono, se non proprio un’ulteriore dimensione, almeno quel non so che di sciccoso che a volte fa perfino scalare la classifica. 

In “Morning Star” e “Evening Star”, solo per citarne un paio, ci sono freschezza ed attitudine, e pure quel drive scandinavo alla D-A-D che trascina ma in modo un po’ provinciale e disincantato, con la stessa pallida credibilità di un poliziesco in stile nordic noir.

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domenica 3 maggio 2020

Recensione AXEL RUDI PELL - SIGN OF THE TIMES


Axel Rudi Pell
Recensione: Sign Of The Times



La presentazione alla stampa di questo lavoro è affidata anzitutto ai numeri: con più di 1.7 milioni di album venduti in tutto il mondo, 2.6 milioni di riproduzioni in streaming per il predecessore “Knights Call“ (2018) ed una carriera lunga trentun anni che ha valso al virtuoso Axel Rudi Pell il riconoscimento di “leggenda” del metal, si direbbe che la somma degli elementi non possa che portare ad un risultato glorioso. 

Il problema è che le arti non sono scienze esatte: così come spesso ciò che ascoltiamo è di molto superiore alla somma delle sue parti, può accadere ogni tanto che il valore vada un po’ perso tra le operazioni matematiche, ed il buono che c’è nelle umane cose finisca intrappolato tra i conteggi. Dell’autorevolezza vocale di Johnny Gioeli mi è capitato di scrivere recentemente, mentre suona fresco e sorprendente quel senso di nuova alba presente nella intro “The Black Serenade”, evocativa al punto da alimentare la speranza. 

Gran parte della classe di questo album è affidata alla tastiera di Ferdy Doernberg, perfetta nelle sue sonorità seventies per dare un senso di rassicurante classicismo. Non mancano poi i pregevoli, non solo per tecnica ma anche per gusto melodico, assoli dello stesso chitarrista tedesco: la sensazione tuttavia, al di là dei contributi personali, rimane quella di un approccio soprattutto equilibrato, rotondo per ritmi e sonorità.

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sabato 2 maggio 2020

Recensione JOVIAC - HERE AND NOW


Joviac
Recensione: Here And Now




Sono in tre e vengono dalla Finlandia i Joviac, band progressive metal che con “Here And Now” aggiunge un ulteriore tassello alla propria discografia, dopo il debutto avvenuto con un trascurabile primo album che la band stessa evita di menzionare nella propria biografia. 

Citando tra le proprie principali influenze artisti come Dream Theater, Toto, A.C.T, Queen, Porcupine Tree ed Opeth, il progetto formatosi per volontà di Viljami Jupiter Wenttola si presenta con sei tracce (introdotte da un brillante episodio strumentale) di rock dinamico, ritmicamente complesso ma accessibile dal punto di vista sia strutturale che melodico (“Black Mirror”). 

Forte di una coralità e di una orchestrazione superiori a quanto ci si aspetterebbe da un trio all’opera, quello dei Joviac è un rock adulto, geometrico e moderno, che sintetizza in modo armonico ed efficace tanto il classico “tappeto di tastiera” (molto evocativo, in una “Crossfirediversamente metal) quanto una sorprendente quantità di effetti e contaminazioni.

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Recensione WITCHCRAFT - BLACK METAL


Witchcraft
Recensione: Black Metal



Il progetto Witchcraft nasce nel 2000 per volontà del cantante e chitarrista Magnus Pelander, desideroso di omaggiare i suoi idoli Roky Erickson (The 13th Floor Elevators) e Bobby Liebling (Pentagram). Dall’album di debutto del 2004 all’ultima uscita datata 2016, i Witchcraft hanno dato forma ad un atmosferico mix di doom e classic rock che oggi trova una nuova – e assai coraggiosa – sintesi nella austera forma della one-man-band con la quale lo stesso Pelander ritorna a far parlare di sé. 

Black Metal” è infatti un’avventura acustica di circa trenta minuti, intensa e struggente-ogni-limite nell’interpretazione languida e sofferta del musicista svedese. Mettendo in scena solo un uomo con la sua svogliata chitarra, il disco sceglie di rinunciare all’idea di una qualche orchestrazione, di una resa corale e di un dinamismo che altre band hanno dimostrato di poter proporre anche in versione unplugged (Days Of The New, 1997). 

L’album canta invece di solitudine e disperazione, odora di un’oscurità pericolosa e rarefatta, si nutre di paure difficilmente descrivibili ed intimorisce con una forma talmente errante che farà sentire molti di noi colpevoli di non saperla comprendere, né apprezzare.

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