domenica 29 settembre 2013

R4i 3DS Revolution su Nintendo DSi XL con firmware 1.4.5E


Ieri pomeriggio ho acquistato un Nintendo DSi XL all'Ipercoop, approfittando del prezzo di €99.00 che ho ritenuto vantaggioso nonostante l'imminente uscita del Nintendo 2DS. Mi interessava aggiungere la versione XL alla mia collezione non solo per approfittare dell'offerta conveniente, ma anche perchè penso che la gamma di titoli disponibili per questo sistema sia talmente vasta (1297 erano i giochi riconosciuti ufficialmente da Nintendo Of America a fine 2012) e la comodità dello schermo extralarge talmente apprezzabile da giustificare l'acquisto di un prodotto non più recente. Accesa e configurata la console, ho poi provveduto ad aggiornare immediatamente il firmware della stessa alla versione 1.4.5E per approfittare delle più recenti funzionalità offerte da Nintendo, salvo poi scoprire che questa operazione avrebbe creato notevoli problemi con l'utilizzo della flashcart R4i 3DS Revolution già in mio possesso. 


Dopo aver chiarito che non ho scaricato nè installato alcun software illegale, dal momento che le cartucce come la R4i 3DS servono anche ad arricchire la console di funzionalità multimediali originariamente non offerte dal sistema operativo della Grande N, ho pensato di mostrarvi come aggiornare la card in modo da renderla compatibile con il firmware più recente. Queste sono le caratteristiche di base della flashcart, così come presentate sui siti Internet che la vendono:

  • R4i 3DS Revolution è un dispositivo compatibile con le console Nintendo DSi che ha la forma di un adattatore per schede di memoria micro SDHC (fino a 32 GB) specifico per Nintendo DSi, anche aggiornato con firmware 1.4.5E
  • Questo prodotto permette di utilizzare la tua console per leggere libri elettronici, guardare immagini, vedere film e video, ascoltare musica ed archiviare file
  • La cartuccia ha le stesse misure della cartuccia della Nintendo DSi
  • Non ci sono schede di avvio (PassMe incorporato)
  • La scheda di memoria Micro SD è utilizzata come archivio
  • Facilità di utilizzo: è sufficiente copiare i file scaricati sulla scheda Micro SD e iniziare a giocare
  • Supporto di programmi Homebrew, libreria IO disponibile all'avvio
  • Non è richiesta nessuna batteria e il backup dei file viene eseguito direttamente sulla scheda Micro SD
  • Firmware aggiornabile (Sistema operativo / Bios / Kernel)
  • Supporta le schede di memoria Hc, le schede Micro SD a diverse velocità ed il sistema FAT standard
  • Controllo touchscreen e affidabile supporto allo skinning
  • Immagini clean dump di avvio (scaricabili da Internet)

  • Penso che questa breve guida possa essere utile perchè le informazioni disponibili sui forum, sui siti dei produttori e su Youtube sono abbastanza confuse e non è affatto agevole individuare quale sia il tipo di patch e di firmware da combinare per far funzionare nuovamente la R4i 3DS Revolution sul vostro DSi XL.


    La prima cosa da fare - compito che non dovrebbe rivelarsi proibitivo, vista la grande diffusione di questa console portatile - è quella di procurarsi un Nintendo DS con un firmware non aggiornato o non aggiornabile (come nel caso del mio DS Lite bianco), sul quale sia pertanto ancora possibile avviare la R4i 3DS Revolution, al fine di procedere con l'aggiornamento del suo software di funzionamento. Successivamente si dovrà togliere la Micro SD card dalla R4i, inserirla - mediante l'utilizzo di un adattatore - in uno slot libero del PC e formattarla (attenzione, perchè così facendo si perderanno tutti i dati eventualmente contenuti nella scheda!) in modo da installare i nuovi file che vi indicherò su una base completamente pulita.


    La combinazione esatta dei file necessari all'aggiornamento della R4i 3DS Revolution è quella che vedete raffigurata in foto: tutti i file sono disponibili - in formato compresso - sulla pagina ufficiale del produttore della cartuccia e possono essere scaricati direttamente (almeno nel momento in cui scrivo) cliccando qui e qui. Una volta scompattate entrambe le cartelle, dovrete copiare sulla vostra Micro SD card i file che vedete elencati nell'immagine qui sopra. Si tratta più specificatamente di:
    • cartella _rpg
    • file _DS_MENU.DAT
    • file R4iGold_NDSi145_Patch_NDSi.nds

    Il passaggio successivo consiste nel togliere la Micro SD card dall'alloggiamento del PC, utilizzando la procedura per la rimozione sicura al fine di non compromettere l'integrità dei dati copiati sulla scheda di memoria, per poi inserire la card nella R4i 3DS Revolution e la stessa nella console non aggiornata (come la DS Lite) che vi sarete nel frattempo procurati. Una volta accesa la console, vi verrà data la possibilità di accedere al menu della R4i 3DS e di eseguire, come se si trattasse della ROM di un gioco, il file patch R4iGold_NDSi145_Patch_NDSi.nds che contiene l'importante aggiornamento da installare.


    Ultimato l'aggiornamento, il cui buon esito sarà confermato dalla dicitura RESULT SUCCESS nella parte bassa dello schermo, potrete finalmente spegnere la console "d'appoggio", estrarre per l'ultima volta la R4i 3DS Revolution ed inserirla sulla nuova console (quella aggiornata con il firmware 1.4.5E) che a questo punto non avrà alcun problema a leggerne il contenuto.

    Recensione EVE TO ADAM - LOCKED & LOADED


    Quando la biografia di un gruppo comincia con frasi del tipo “questa band ha una storia piuttosto inusuale”, ecco che la mia curiosità felina di conoscere gli Eve To Adam ed ascoltare la loro musica monta in modo esponenziale! Un'indifferibile urgenza, quasi, che spero vorrete condividere con me. Dobbiamo sapere che l’idea di suonare hard rock con il nome Eve To Adam viene a Taki Sassaris nel 1997: cresciuto al sole della Florida, Taki comincia a suonare la chitarra (“uno strumento che è facilissimo suonare malissimo”, sostiene un bravo formatore che ho conosciuto alcuni giorni fa ad un corso di web marketing) a tredici anni per imparare i riff di Guns N' Roses, AC/DC, Red Hot Chili Peppers, Metallica, Faith No More, White Zombie, Tool, Alice in Chains, Stone Temple Pilots, Soundgarden e Bruce Springsteen. “Il Rock’n’Roll è diventata la mia religione”, dirà il cantante, “e le canzoni sono passaporti per arrivare in altri mondi”. Taki recluta dunque il fratello Alex, batterista, ed i due vengono messi sotto contratto dal famoso produttore Desmond Child già l’anno successivo: Child ha in mente un futuro da pop-star per la nascente band ma le aspirazioni dei fratelli Sassaris sono ben altre, ed il duo si trasferisce a New York per intraprendere una strada più personale e - per nostra fortuna - rockeggiante. Le prime esibizioni dal vivo risalgono al 1999 e valgono ai due protagonisti della nostra storia, che non avevano ancora nemmeno un album da promuovere, la partecipazione al Maximum Rock tour. Seguiranno alti e bassi e alti, con l'innesto e poi il cambio di alcuni componenti, la rottura del contratto con Child, problemi finanziari ed infine la rinascita, che nel 2001 ha il nome di Auburn Slip: al disco di debutto - realizzato dopo un’estesa attività live - seguiranno l’EP Antidote (2003), Queen To Eden (2007), Banquet For A Starving Dog (2011) ed infine la quarta prova sulla lunga distanza che abbiamo il privilegio di ascoltare oggi. Il disco si avvale della collaborazione di produttori di grido, da Eric Bass (Shinedown) ad Elvis Baskette (Incubus, Alter Bridge) e si apre sull’ondeggiante riff di chitarra della godevole titletrack. Sulle prime battute lo stile della band sembra virare su un alternative di discreta presa ma abbastanza scontato, talmente comune nei territori americani da determinare per le mie collaudate orecchie una sovrabbondanza di offerta difficilmente distinguibile. Mi viene in mente la prestazione fungibile come te la insegnavano a giurisprudenza, quando ti spiegavano che comprando la benzina non ne individuavi una quantità ben precisa, ma ti accontentavi della quantità che sarebbe sgorgata dal distributore. La maggior parte dei cantanti rock d’oltreoceano condividono scuola, timbro ed impostazione, fornendo prestazioni ugualmente decorose ma altrettanto simili tra loro, accompagnati dai soliti ritmi scanditi, da brevi assoli e da intermezzi dal sapore elettronico che poco fanno per aiutarci a riconoscere chi fa cosa. Un’uniformità forse dovuta alla professionalità che oggi è richiesta a chiunque intenda farsi seriamente strada in un mercato più che mai affollato, e che pare un requisito indispensabile per creare standard ed affidabilità (insieme alla probabile previsione di un numero minimo di vendite) ancor prima che ispirare il guizzo creativo & pericoloso che a noi mediterranei piacerebbe tanto. Locked & Loaded merita tuttavia un ascolto più attento ed una predisposizione più morbida, non solo per l’eccellente paio di chiappe fotografato in copertina, intendo, ma anche perchè il disco impiega appena un paio di canzoni per darsi una struttura ed una personalità più orientata a quel pedigree hard rock al quale Sassaris fa riferimento nelle sue note biografiche. Se melodia e cori di presa non difettano ad alcun brano (corporate rock, lo chiamano candidamente gli Eve To Adam), da Bender in avanti la band alza l’asticella, canalizza le energie e riduce gli orpelli: le canzoni si fanno più immediate ed incisive, Alex aggiunge un filo di doppio pedale (With The Truth) e la prestazione dei cinque si fa più coesa, determinata, potente. 


    Come se passassimo dalla conduzione ecumenica di Giletti a quella più ritmata di Carlo Conti, Straitjacket Supermodel suggella un repentino cambio di direzione apportando fisicità, scioltezza ed un irresistibile mood sexy (non me ne voglia Giletti), insieme a ritmiche ipnotiche e chorus alla Nickelback: il brano sembra poter abbracciare tre decadi di rock da strada e divertito in the making, dagli eccessi del glam all’approccio più misurato del rock americano di oggi, facendosi ora cantabile ed ora rigoroso, ballabile eppure spigoloso quando serve. A rafforzare la spina dorsale del disco, troviamo una strofa di Fortune Teller che procede con un quattro/quarti tagliente scandito dal charleston (prima di concedere qualcosa con un prevedibile ritornello in tempo dimezzato), semplicemente heavy come il ride che accompagna il bridge di Crime Scene; What Would You Kill? è più sofferta ed ugualmente potente, seppure annacquata nel finale, e non fa altro che confermare l'interessante consistenza di un disco consapevole dei suoi limiti stilistici eppure ambizioso nella ricerca di una sua solidità. La buona qualità espressa dall’intera scaletta vale agli Eve To Adam una classificazione, se non propriamente hard, almeno modern rock: nonostante l'abbondanza di soluzioni commercialmente ammiccanti, che la band non rinnega, il disco mantiene un'anima ruvida e genuina nella passione infusa tra i suoi solchi, nella scelta dei suoni, nella struttura relativamente asciutta dei brani, nella ricerca di un apprezzamento necessario e sufficiente a non comprometterne l'identità. Locked & Loaded non contiene filler (la ballad Shut Out The World è un po’ piaciona, però) e, pur tra gli stretti e modernisti confini del genere, pare sempre essere alla ricerca di una soluzione interessante, di una consistenza diversa, di uno spunto e di una piccola svolta che invoglino a proseguire il suo ascolto: trovo che nell'ambito del rock moderno, spesso uniformato ed appiattito al punto da suonare tutt'altro che alternative, il risultato non sia affatto scontato e valga alla band dei fratelli Sassaris una sufficienza brillante e pienissima.

    [6]

    Modern Rock, 2013

    3 For 5 Records

    Tracklist:
    1. Locked & Loaded
    2. Immortal
    3. Bender
    4. Straitjacket Supermodel
    5. Fortune Teller
    6. What Would You Kill?
    7. With The Truth
    8. Let’s Burn
    9. Crime Scene
    10. Shut Out The World
    11. Forgive
    Line-up:

    Taki Sassaris (Voce)
    Gaurav Bali (Chitarra)
    Adam Latiff (Chitarra)
    Luis Espaillat (Basso)
    Alex Sassaris (Batteria)

    sabato 28 settembre 2013

    Recensione NIGHT RANGER - HOLE IN THE SUN



    E’ navigando impavido tra i perigliosi flutti di Internet che mi sono recentemente imbattuto nei Night Ranger, una rock band proveniente da San Francisco che ha goduto di grande popolarità negli anni ottanta, grazie ad una lunga serie di album e singoli venduti in oltre dieci milioni di pezzi. Nel 1983, in particolare, la band guadagnò ampi consensi con l’album Midnight Madness (assolutamente da riscoprire, a questo punto) che conteneva le hit Sister Christian, When You Close Your Eyes e You Can Still Rock In America. Il riconoscimento guadagnato dalla band può dirsi trasversale e multicanale, dal momento che la loro musica è stata utilizzata nei videogiochi (da Rock Band a Guitar Hero), trasposta in musical per i palcoscenici di Broadway (Rock Of Ages), utilizzata come colonna sonora di film, telefilm di successo e spot pubblicitari (JBL), senza contare la partecipazione della band al pruriginoso reality show americano Bachelor Pad


    Oggi il quintetto - superata la rottura del 1989 e salutati il tastierista ed il chitarrista originali - continua a celebrare una carriera trentennale con una inarrestabile attività live che li porta ad esibirsi in ogni angolo del globo (altissima rimane la popolarità nell’area asiatica), quasi a testimoniare ancora una volta la bontà intramontabile di quella formula che prevede la combinazone di buone canzoni con musicisti capaci di interpretarle, restituendole in ogni occasione a nuova vita. E’ dunque grazie all’ascolto di Hole In The Sun che ho potuto scoprire l’esistenza dei Night Ranger ed avere un primo assaggio del materiale col quale hanno contribuito alle fortune senza tempo, oggi in grande spolvero, del classic rock. Nono album pubblicato dal gruppo, grazie all’impegno dell’italiana Frontiers Records che lo diede alle stampe nel 2007, Hole In The Sun accoglie un timido Michael Lardie (Great White) alle tastiere in sostituzione di Alan Fitzgerald ed allo stesso tempo saluta il chitarrista Jeff Watson, che avrebbe lasciato il gruppo ancora prima che il disco venisse immesso sul mercato. Tell Your Vision, prima traccia in scaletta, è classe cristallina e densa atmosfera, è rabbia e potenza, di quella natura controllata e matura che mi ha ricordato il rock dei Tesla. Gruppi come questi, forti di anni di gavetta e continui affinamenti, riescono a proporre uno stile che è un classic evoluto, così potremmo chiamarlo, dal momento che alle note sinuose del bridge si contrappone con naturalezza un riffing attualissimo, agile e fisico ed alla lunga cantilenante: questa dimostrazione di stile annovera i Night Ranger tra le band che, pur fedeli a se stesse, non hanno mai smesso di ascoltare, curiosare ed assorbire per evolvere il loro sound, tenendosi alla larga da ritorni patetici ed inconcludenti operazioni nostalgia. Alla voce in perfetto stile classic di Jack Blades - quasi un Neil Young incazzato - si contrappone la solidità moderna delle sue stesse linee di basso, che sembrano non dare tregua per tenere l'ascoltatore sulla corda (You’re Gonna Hear It From Me), adeguatamente supportate da un buon lavoro di chitarra, ben bilanciato tra ritmiche muscolose (White Knuckle Ride, Wrap It Up), assoli veloci di stampo heavy (Drama Queen) e parti più melodiche, con ritornelli corali tutti allo stesso modo convincenti, sin dal primo ascolto. La band statunitense denota tecnica e sensibilità nel modo in cui riesce ad addensare progressivamente le strutture dei suoi brani, vorticose nei passaggi meglio arrangiati, pur senza appesantirli: ottima produzione ed un uso accorto di effetti e suoni elettronici permettono di ascoltare un prodotto vivo e continuamente rinnovato, che dalla solida radice ottantiana si evolve spontaneamente verso un sound potente e moderno, dall’heavy al grunge/punk di Whatever Happened / Rock Star e senza suonare enciclopedico, regalando alle sei corde di Gillis e Watson uno spazio espressivo amplissimo quanto meritato. Il disco mantiene una sua impostazione precisa, giocando con le varie declinazioni del rock senza stravolgerle, privilegiando le acque meno profonde ma senza rinunciare a stupire con una titletrack che - alla pari di Revelation 4 AM - ha la forma gentile di un vivace affresco country e di un coro dai suoni acustici: la canzone matura aggredendo con sensibilità gli spazi e guadagnando una grandezza che va oltre il radio-rock, capace di mantenere un equilibrio raffinato ed una dimensione umana, tra cori appassionati e suoni della tradizione acustica. Scoprire una musica di questa qualità, in un soleggiato sabato mattina di fine Settembre, riconcilia col mondo: sorprendente ed inaspettato, questo Buco Nel Sole culla con le sue note e muove con i suoi ritmi, e fa pensare a tutto il bello che ogni giorno ci sfugge perchè siamo distratti, impegnati, affannati, rincorsi o semplicemente subissati da un’offerta - fortunatamente - ampia e di qualità imprevedibile. Pur senza comporre un capolavoro memorabile dal punto di vista compositivo, queste dodici canzoni, sbucate chissà come da qualche anfratto della Rete, ripagano con immediatezza ed onestà da tanti ascolti pretenziosi ed inutili, al termine dei quali alla speranza da talent-scout-pendolare di scoprire the next big thing si contrappone il crudo ritorno ad un panorama musicale che riserva poche novità di rilievo, tante scopiazzature parassitarie e successi costruiti a tavolino quanto caduchi. Sintomatico allora come, a ventiquattro anni dai successi di Midnight Madness, i Night Ranger sappiano mantenere con autorevolezza un posto nella scena che anche a loro appartiene, grazie ad un prodotto maturo e bilanciato, che attualizza con intelligenza senza snaturare, che accelera con progressione, che appassiona e commuove con il trasporto delle sue ballad (There Is Life cresce imponente, Fool In Me sa farsi piccola e fragile, Being infine arpeggia raffinata e crea una forma di nostalgia preventiva chiamata prestalgia), mantenendo tra i suoi solchi quel tocco raw, grezzo, autentico, che lo astrae dalle insidie del tempo e dagli implacabili confini delle date di scadenza.

    [7]

    Hard Rock, 2007

    Frontiers Records

    Tracklist:
    1. Tell Your Vision
    2. Drama Queen
    3. You're Gonna Hear It From Me
    4. Whatever Happened
    5. There Is Life
    6. Rock Star
    7. Hole In The Sun
    8. Fool In Me
    9. White Knuckle Ride
    10. Revelation 4 AM
    11. Wrap It Up
    12. Being
    Line-up:

    Jack Blades (Voce, Basso)
    Brad Gillis (Chitarra)
    Jeff Watson (Chitarra)
    Michael Lardie (Tastiere)
    Kelly Keagy (Batteria)

    domenica 22 settembre 2013

    Recensione POISONBLACK - LYIJY


    Orfani dei Sentenced, annichiliti dal commiato in note di End Of The Road (The Funeral Album, 2005) e dilaniati nell'apprendere della morte del loro chitarrista Miika Tenkula (2009), in tanti abbiamo sperato che i superstiti membri della band potessero, con i loro progetti musicali, rinverdirne i fasti. Purtroppo sia The Man Eating Tree che Poisonblack hanno visto rispettivamente il batterista Vesa Ranta ed il cantante Ville Laihiala riproporre spezzoni di esperienza, e solamente briciole di quella malinconia potente, di quella efficacia compositiva, di quella capacità di raccontare immagini tragiche con quel misto di disillusione e cinismo, intriso di nebbie e rigidità finniche che ha affascinato molti di noi. Nei Poisonblack avevo riposto qualche speranza, un po’ perchè pensavo che il fatto di condividere la voce dei Sentenced regalasse loro una sorta di vantaggio competitivo nell’operazione rievocazione/nostalgia, un po’ perchè l’immagine della band, come il black ed il poison offerti nel nome, sembravano promettere una continuità timida con una carriera convincente durata sedici anni. In realtà le aspettative sono state sempre tradite, complice un approccio più disimpegnato, che alcuni definirebbero love metal, che ha sempre inteso ribadire una differenza di toni e smorzare gli entusiasmi di chi sperava di poter tornare indietro negli anni, felicemente intrappolato tra gli zero e gli uno incisi sulla superficie del CD. Formati in Finlandia nel 2000 da Ville Laihiala e sotto contratto con l’onnipotente Century Media, i Poisonblack hanno esordito con Escapexstacy nel Febbraio 2003 (ventunesimo posto nelle classifiche finlandesi), ripresentandosi nel 2006 con Lust Stained Despair (promosso con un tour europeo in compagnia dei Lacuna Coil), nel 2008 con A Dead Heavy Day (sesto posto nella classifica degli album finlandesi), nel 2010 con Of Rust And Bones e nel 2011 con Drive. Se considerato in senso assoluto, il cammino compiuto fino ad ora dalla band finlandese non si può considerare avaro di soddisfazioni: eppure la dichiarazione di Laihiala con la quale la band si presenta sulla pagina ufficiale Facebook, This is not a project band! I have my heart and soul in Poisonblack!, sembra voler allontanare i sospetti di una dedizione solo parziale, di un cammino di mestiere e di portafoglio, di un progetto confezionato più per piacere - e vendere - alla generazione dei formati compressi che non per emozionare con racconti forti e quadri decadenti come i Sentenced - che ebbi il piacere di vedere di supporto ai Lacuna Coil (14 Settembre 2002 al Vidia di Cesena, che delusione quando i miei amici ed io scoprimmo che non si sarebbe trattato del contrario!) e dei quali custodisco l’intera produzione discografica in una sontuosa confezione in edizione limitata a forma di bara - sapevano fare. Lyijy (piombo, in finlandese) si apre con il singolo Home Is Where The Sty Is, canzone che sembra voler riproporre i fasti dei Sentenced in chiave modern-alternative-rock. Rispetto a quel suicide metal che non si può non prendere come riferimento, lo stile dei Poisonblack è brillante, uptempo, seppur meno ammiccante e divertente di quel rock scandinavo alla - per dire - The69Eyes. Lyijy è ritmicamente vivace ma stilisticamente monocorde, con la sola voce di Ville a salvarlo da una pur dignitosissima mediocrità, che tanto è inutile girarci attorno. Compiaciuto del proprio stile moderno, il disco rifugge ogni profondità introspettiva, preferendo arrangiamenti luminosi, più orientati alla fugace permanenza in classifica che a lasciare una traccia nell’animo dell’ascoltatore. 


    A scanso di equivoci, la valutazione dell’album trascende un confronto con i Sentenced (per quanto la speranza di un revival, almeno parziale, non sia ancora del tutto sopita nei cuori di tanti), nel rispetto di una band che vuole evidentemente fare altro: melodie sufficienti, produzione sufficiente, assoli sufficienti... difficile trovare un motivo per cui desiderare di tornare a casa per ascoltare il sesto parto dei Poisonblack. Nonostante una produzione rugosa e grezza che lo rende prevedibile ma non artificioso, autore di una falso di classe come la favola della provenienza casereccia di un tortellino Rana, Lyijy presenta ben pochi motivi di interesse, sprecando titoli interessanti (Flavor Of The Month) con la proposta di un rock obliquo e grungy come quello che i D-A-D suonavano nel 1995. E che, voglio infierire, suonava già superato allora. Maggiore credibilità riscuotono i brani che vedono la band alle prese con un metal più autenticamente finlandese, semplice e compatto, alla moda nel suo rifuggere la moda: in questi casi semplicità significa focus, concentrazione, impatto, e basta una ritmica rocciosa ed una melodia spenta al punto giusto per fare di The Absentee qualcosa di romanticamente sommesso ed allo stesso tempo interessante. Non sempre la semplicità paga, però: Maybe Life Is Not For Everyone è una semi-ballad confusa che pare improvvisata, impreziosita - si fa per dire - da un insignificante assolo che sa tanto di Metallica, ma senza il contorno del black album. Tra spunti che sembrano promettere (Blackholehead, Pull The Trigger), ed un secondo dopo deludono (Elaman Kevat), Lyijy arranca alla ricerca di una sufficienza che a mio parere non merita, indipendentemente dal pedigree che vogliamo riconoscerli. Il disco non fa che confermare come il solo Ville non basti a ridare respiro ad un passato carico di emozione, contenuto, arte e trasporto: ai Poisonblack difettano la chimica, il sacrificio della coesistenza ed il caos delle idee per evolversi in qualcosa di vivo, pur nella celebrazione della morte come accadeva ai Sentenced. Forse al gruppo di Ville noi fan di vecchia data non perdoniamo la nuova esuberanza, la ricerca della ribalta, la contaminazione necessaria, portati come siamo a scorgere il vero nel triste, la ricchezza nella sottrazione più dolorosa ed autarchica, l’armonia nell’accostamento gentile e scostante di poche note. Lyijy è invece un’operazione streamlined nella quale si avverte chiara l’assenza del contrasto, del confronto, di quel movimento di forze e gusti musicali che rendono davvero grande una band, e la sua arte superiore alla somma dei contributi dei singoli. Al pari di un bambino viziato, questo è un disco al quale tutto è invece permesso, un viaggio privo di imprevisti che cade vittima del suo comfort e del suo comodo anonimato, della mancanza di sfida, di scelta e di collocazione.

    [4]

    Modern Rock, 2013

    Warner Music Finland

    Tracklist:
    1. Home Is Where The Sty Is
    2. Down The Ashes Rain
    3. The Flavor Of The Month
    4. The Absentee
    5. Maybe Life Is Not For Everyone
    6. Death By The Blues
    7. The Halfway Bar
    8. Them Walls
    9. Blackholehead
    10. Pull The Trigger
    11. Elaman Kevat
    Line-up:

    Ville Laihiala (Voce, Chitarra)
    Antti Leiviska (Chitarra)
    Marco Sneck (Tastiere)
    Antti Remes (Basso)
    Tarmo Kanerva (Batteria)

    lunedì 9 settembre 2013

    Recensione FOX - LUCIFER



    Ok, ok, allora eviteremo battute sugli svizzeri, la precisione, gli orologi, il cioccolato ed il formaggio con i buchi. Sta di fatto, però, che questo Lucifer è uno splendido - ed allo stesso tempo gioiosamente prevedibile - esempio dell’hard-rock che ti aspetteresti da un bravo cantante e compositore che ha militato negli Shakra e respirato la stessa aria di Gotthard e Casanova. Oggi fresco sposo di una splendida fanciulla, che dalle foto pubblicate sul suo profilo Facebook parrebbe interpretare con grande professionalità le più impegnative figure della lap dance, il tenebroso Mark Fox lascia gli Shakra nel 2009 per concentrarsi sulla carriera solista: i primi frutti arrivano tre anni più tardi con la pubblicazione di 2012, ottimo alfiere di euro hard-rock che Mark produce in collaborazione con Chris Von Rohr (chitarrista e produttore dei Krokus). 

    La tonica signora Fox, a quanto pare.

    Ricco di citazioni, tra le quali una melodia di Problem Child che a detta di alcuni sembra rifarsi ad un brano di Zucchero, l’album è un digeribile trionfo di mini-riffing, ballad moderatamente sofferte e ritornelli di facile presa, elementi che ritroviamo oggi nel successore spirituale di 2012, quel Lucifer che Google Translator, al quale ho fatto ricorso per saperne ed offrirvi di più, battezza con un “fresco e allegro-cupo” che suona perfetto per descriverne le atmosfere. Critica sociale, ironia e sarcasmo sono argomenti affrontati sulle note di un rock brillante, tanto nei suoni quanto nell’agile rifinitura, che sembra volersi nascondere dietro le prime, interlocutorie e cantilenanti note dell’opener The Answer. Se l’antipasto preferisce indugiare su un tappeto cadenzato ed atmosferico, spezzato solo da un buon assolo di chitarra, da Hang On Ruby in poi il disco comincia decisamente a carburare, come se le tende di velluto rosso di questo teatrino hard-rock si ritraessero a svelare il vero, carnoso contenuto dell'album. Sparato, dinamico, quadrato, geometrico sono aggettivi che descrivono uno stile molto ben composto, ingegnerizzato come un Meccano per presentarsi come un potente unicum: la voce graffiante di Fox, i semplici accordi di chitarra esaltati dalla potenza e dalla pulizia dei suoni, una sezione ritmica che accompagna poderosa (ma senza guadagnare mai le luci della ribalta) sono gli ingredienti di uno spettacolo a cavallo tra Starbreaker e Motley Crue, meno raffinato del Gotthard medio e decisamente più orientato al divertimento, al ritmo, alla sensualità di un blues'n'roll come lo facevano i Tesla, però ingentilito da cori femminili e sortite di tastiere dalle reminiscenze seventies. Lucifer diventa così un prodotto-ossimoro, potente e sfuggente allo stesso tempo, preciso nell'ammantare con una sonorità cattiva (vedi il parlato gutturale della title-track) una struttura sempre orecchiabile, a tratti quasi power-pop, che invita più a battere le mani immaginando di partecipare ad un happening dalle tinte acustiche (I Can’t Sleep) che non all'head-banging più selvaggio. Il risultato è in ogni caso brillante, perchè la linea mediana individuata dal cantante svizzero non rappresenta un compromesso, o un risultato a metà, quanto piuttosto un equilibrio sfacciatamente marpione (Too Young To Die), una sottrazione utile e dal fascino a tratti irresistibile (I’ll Do It All Right) tipico dei territori melodici/metal svizzeri e tedeschi (e quasi quasi ci metterei anche una citazione degli Scorpions, che tanto costa uguale). Al giro di boa della tracklist, scopriamo una Wonderland che è un gioiellino di semplicità, una canzone piccola e grande allo stesso tempo che si potrebbe frettolosamente liquidare come niente in tutto (proprio come alcuni clienti dal fare sprezzante battezzavano gli appartamenti che mostravo loro, quando lavoravo in agenzia immobiliare), mentre in realtà il suo chorus sexy & sofferto, la redenzione che suggerisce lasciando entrare a poco a poco la luce, la facilità sublime con la quale si segue il suo quattro quarti sono il trionfo di un fare virtuoso con il minimo indispensabile, come certe canzoni dei Manowar, immortali dall’alto - o dal basso, a seconda del punto di vista - di una manciata di prevedibili accordi. 


    In momenti come questi Lucifer diventa il disco del particulare (Francesco Guicciardini, 1483-1540), perchè senza che sia dato accorgersene la canzone trova una sua varietà suggerita nell’effetto applicato alla voce, nel ritorno di un accordo durante l’assolo di Franky Fersino, nei piatti che vibrano scintillanti sotto i colpi delle bacchette quando si torna a cantare un ritornello che si desidera già riascoltare, appena la canzone si congeda nel buio dei titoli di coda. Gimme Your Love gioca in fondo con gli stessi elementi, solo diversamente declinati: un ritmo leggermente più veloce ed una bella voce femminile a formare un duetto di consumata esperienza rendono fresca una formula sentita solo qualche minuto fa, dalla quale non si potrà certo prendere una longevità infinita, ma sicuramente capace di regalare un divertimento dalle basi solide. Il secondo disco di Mark Fox è un classico prodotto di genere, realizzato con professionalità moderna, un bagaglio sufficiente di buone idee e l'esatta percezione del risultato da raggiungere con i mezzi a disposizione: i brani che si succedono in scaletta, equamente ripartiti tra romantiche ballad (Nothing To Lose Tonight tra le più deboli ed anonime, colpevole di coretti da Happy Days) e sferzate euro-energiche, sono parti credibili dello stesso progetto, regalando a Lucifer coerenza, drive ed un forte sense-of-purpose di In-Flamesiana memoria (2008). Tra un piacevole assolino, un colpo ben assestato sulla cassa di Reto Hirschi ed un ritornello immediatamente cantabile (a Right To The End il merito di chiudere il disco con un piccolo e ritmicamente articolato spettacolo pirotecnico), minuti e brani scorrono che è un piacere, facendo acquistare al disco una dimensione probabilmente superiore alla sua vera natura, rilassando e disimpegnando al di là delle mode e senza rinunciare ad un impatto che - grazie ad una produzione svizzera nel senso più stereotipato che possiate immaginare - sa come trasmettere un sentimento dinamico, una vibrazione positiva, una direzione forse poco originale ma verso la quale l'ascoltatore è attratto, come complice di una piacevolissima e divertita tensione.

    [7]

    Hard Rock, 2013

    Sony Music

    Tracklist:
    1. The Answer
    2. Hang On Ruby
    3. Lucifer
    4. Back For More
    5. I’ll Do It All Right
    6. Wonderland
    7. Nothing To Lose Tonight
    8. Gimme Your Love
    9. Too Young To Die
    10. I Can’t Sleep
    11. Right To The End
    Line-up:

    Mark Fox (Voce)
    Franky Fersino (Chitarra)
    Tony Castell (Basso)
    Reto Hirschi (Batteria)

    lunedì 2 settembre 2013

    Recensione ALIEN HOMINID - GAME BOY ADVANCE


    Dal retro della confezione: "Gli hanno sparato, lo hanno abbattuto, derubato e sondato. E' ora di rendere la pariglia..."
    Pariglia
    • Coppia di cose uguali
    • In particolare, coppia di cavalli da tiro
    • Nel gioco delle carte, coppia di carte uguali
    • Coppia di dadi che presentano la stessa faccia
    • Figurativo, Trattamento uguale, contropartita, Specifico nella locuzione rendere la pariglia a qualcuno, rendere pan per focaccia, fargliela pagare
    Mentre avevo già avuto l'opportunità di giocare ad Alien Hominid in passato, non avevo mai sentito usare questa espressione, rendere la pariglia. Quindi, nel caso vi facessero notare che i videogiochi non sono istruttivi, rispondete con relativa fierezza che essi non solo mantengono allenati i riflessi e le capacità di lateral-thinking & problem-solving, ma non paghi elargiscono anche espressioni figurative in italiano semi-arcaico, che nemmeno molti dei loro detrattori conoscono. Ma veniamo al gioco! Ideale prosecuzione di un flash-game scaricato diciannove milioni di volte, Alien Hominid è un classico platform/shoot 'em up con vista laterale alla Contra, caratterizzato da uno stile grafico bidimensionale, ottime animazioni ed una generale sensazione di cura & stile. Sviluppato nella sua versione originale da The Behemoth, un piccolo studio di sviluppo allora all'esordio e con sede a San Diego (anche autore, nel 2008, di Castle Crashers), il gioco fu pubblicato per la prima volta nel 2002 e successivamente convertito per Playstation 2, GameCube, Xbox ed Xbox Live Arcade. Realizzato dal programmatore Tom Fulp e dall'animatore Dan Paladin, il gioco fu inizialmente pubblicato in forma di prototipo su Newgrounds, un portale di giochi realizzati in Flash. La storia era quella di un piccolo alieno giallo schiantatosi con il suo piccolo disco volante sulla Terra, che doveva farsi largo tra orde di agenti dell'FBI corrotti intenzionati a catturarlo. Il gioco consisteva originariamente in un solo livello con due boss e solo più tardi ne sarebbe stata pubblicata una versione completa destinata alla vendita. Il progetto fu interamente riscritto per le console, la grafica realizzata a mano da Paladin si affinò ulteriormente e vennero introdotti nuovi elementi di gameplay per rendere l'esperienza più profonda e coinvolgente. Convertito da Tuna Technologies per il Game Boy Advance, il mondo fantascientifico immaginato da Dan Paladin sembra pulsare di vita propria sul piccolo schermo del portatile Nintendo: la frenesia - priva del benchè minimo rallentamento - con la quale ci si deve difendere dagli attacchi nemici, la qualità di musiche ed effetti sonori, l'attenta calibrazione della giocabilità costruiscono un pacchetto solido e convincente sin dai primi livelli. Se escludiamo due stage a scorrimento multi-direzionale che ci vedranno impegnati alla guida di una navicella spaziale, il gioco ci vedrà impegnati a correre da sinistra verso destra uccidendo gli agenti nemici (che prima di scomparire ci regalano animazioni piuttosto splatter, che è possibile disabilitare dal menu delle impostazioni), utilizzando una serie di movimenti (salto, accovacciamento, lancio della granata, nascondiglio sottoterra), accumulando power-up che permetteranno di sparare in vari modi (anche se solamente nelle quattro direzioni principali, escluse quindi le diagonali) e confrontandoci con gli immancabili, e fantasiosi, boss di fine livello. Questi combattimenti, in particolare, presentano un grado di sfida che viene ridimensionato una volta appresi movimenti e modalità di attacco: non si tratta di pattern complicati (se si esclude la crudele imprevedibilità del mostro finale), per cui ad ogni partita è possibile affinare la propria tecnica assaporando la gratificazione che l'apprendimento comporta. 


    Le diverse possibilità di movimento a disposizione del personaggio (che ci permetteranno di accumulare Style Points per le uccisioni più fantasiose), unite a controlli intuitivi e facilmente memorizzabili, regalano una buona sensazione di padronanza e mettono al riparo da morti immeritate (cheap death): ad un'azione frenetica alla Metal Slug (con nemici provenienti da ogni lato, spari, esplosioni e la possibilità di mettersi alla guida di carri armati ed enormi yeti!) Alien Hominid risponde quindi mettendo nelle mani del giocatore un'ottima giocabilità, che ci permette di reagire con efficacia alle singole minacce. La sfida non appare mai ingiusta, nè dall'esito casuale: i potenziamenti sono infatti frequenti (e dispensati da bambini evidentemente conquistati dalla simpatia del nostro piccolo alieno, che ricorda il disneyano Stitch) ed anche nelle situazioni più caotiche il giocatore non viene mai intrappolato, lasciandogli sempre un minimo di spazio di manovra per provare una soluzione di attacco o evasione diversa. Le tante vite ed i continua a disposizione consigliano di confrontarsi da subito con la modalità Media, se non addirittura Difficile: è infatti possibile portare a termine la prima già dopo le prime sessioni di gioco, una volta presa la giusta confidenza con i comandi, minando drasticamente la longevità della cartuccia. A parziale compensazione, si segnala la presenza di tre minigiochi (Chicken Lickin', Missile Mastar e Chipper) che offrono un piccolo diversivo, se non proprio un'esperienza di gioco completa e appagante. La grafica da cartone animato, come si sarebbe detto un tempo, la cura delle animazioni e la personalità che pervade ognuno dei tredici livelli previsti da questa versione fanno di Alien Hominid un titolo non solo tecnicamente validissimo, ma anche molto godevole. Il piccolo schermo del GBA, per quanto ben utilizzato, quasi fatica a mettere nel giusto risalto ogni dettaglio, al punto che si raccomanda anche di giocarlo su uno schermo più ampio e luminoso (con un emulatore come Visual Boy Advance, ad esempio) per meglio apprezzarne i piccoli tocchi di classe, le animazioni e gli accostamenti cromatici. La facilità con la quale è possibile giungere alla fine dell'avventura, almeno a livello medio, non preclude la possibilità di concentrarsi su altri aspetti, quali l'accumulo di Style Points o l'utilizzo di un numero inferiore di vite per arrivare alla meta: il doppio livello impegnato/disimpegnato che caratterizza il titolo di The Behemoth, comune a molti titoli di successo (a partire dal primo Super Mario Bros), rende adatto il gioco sia a sessioni veloci che ad altre alle quali dedicare un'attenzione maggiore. Starà comunque al giocatore stabilire se le diverse possibilità di fruizione gli garantiranno un interesse duraturo ed una longevità adeguata al prezzo della cartuccia. 

    [7]

    domenica 1 settembre 2013

    Nuovo Nintendo 2DS, le 30 cose da sapere



    1. Innanzitutto, cos'è Nintendo 2DS? Nintendo 2DS è semplicemente una versione del Nintendo 3DS privata, tra le altre cose, della possibilità di visualizzare immagini con effetto 3D su uno dei suoi schermi. Abbandonato il tradizionale form-factor a conchiglia (quasi un ritorno al primo Game Boy Advance, datato 2001) ed introdotto un più economico schermo che fa le veci di due, il 2DS assomiglia in sostanza ad un tablet a basso costo compatibile con la vasta softeca di 3DS e DS
    2. La restylizzata console Nintendo - chiamarla nuova sarebbe fuorviante - sarà disponibile a partire dal 12 ottobre, in concomitanza con l’uscita di Pokémon X e Y e ad un prezzo (da confermare) di 129 euro, ed andrà a posizionarsi tra il DS e il 3DS, offrendo la grafica bidimensionale del primo e il software di entrambi
    3. Secondo Kotaku.com i dodici migliori titoli per Nintendo 3DS, che sarà dunque possibile giocare sulla nuova console low-cost, sono Animal Crossing: New Leaf, Fire Emblem: Awakening, Kid Icarus Uprising, The Legend Of Zelda: Ocarina Of Time 3D, Luigi's Mansion: Dark Moon, Mario Kart 7, Mario & Luigi: Dream Team, Project X Zone, Professor Layton And The Miracle Mask, Pushmo, Resident Evil Revelations e Super Mario 3D Land
    4. Alcuni giornalisti hanno paragonato la possibile transizione dal 3DS al 2D a quella dal Game Boy Advance al Game Boy Advance SP... ma in senso contrario! In realtà non si può parlare di vera transizione, dal momento che il Nintendo 2D costituisce un'offerta diversa volta ad allargare il pubblico dei videogiocatori (vecchio pallino di Satoru Iwata dai tempi della prima Wii) che non presenta profili di interesse per chi già possiede un 3DS. Discorso diverso per chi possiede "solo" un Nintendo DS, dal momento che la versione 2D offre la possibilità di allargare la propria collezione videoludica con i titoli più recenti che avrebbero previsto la possibilità di una visualizzazione tridimensionale (vedi punto precedente)
    5. Secondo IGN.com i dodici migliori titoli per Nintendo DS, che sarà possibile giocare sulla nuova console low-cost, sono Pokemon Conquest, Castlevania: Order Of Ecclesia, Grand Theft Auto: Chinatown Wars, Elite Beat Agents, Animal Crossing: Wild World, The World Ends With You, Professor Layton And The Last Specter, New Super Mario Bros, Castlevania: Dawn Of Sorrow, Mario & Luigi: Partners in Time, Mario Kart DS e Pokemon: The DS Generations
    6. Il compromesso richiesto dal 2DS (niente visualizzazione in 3D e niente possibilità di chiusura della console) appare ben più ragionevole di quanto richiesto dalla Wii Mini che, a fronte della riduzione di prezzo, ha eliminato in un sol colpo connessione online, alloggiamento per schede di memoria ed uscita video digitale HDMI
    7. Nintendo 2DS non sarà invece retrocompatibile con le cartucce per Game Boy Advance, a differenza del DS Lite: non potremo dunque giocare (se non scaricandoli quando disponibili sull'eShop) a classici senza tempo quali Mario & Luigi: Superstar Saga, Super Mario Advance 4: Super Mario Bros 3, Pokemon Ruby/Sapphire, Metroid: Zero Mission, Final Fantasy VI, Super Mario Advance 3: Yoshi's Island, Mario Golf, Tony Hawk's Pro Skater 2, Advance Wars, Legend Of Zelda: A Link To The Past With Four Swords, Castlevania: Aria Of Sorrow e Wario Ware Twisted
    8. Le dimensioni del Nintendo 2DS saranno 127mm x 144mm, rispetto ai 74mm x 134mm del 3DS ed ai 93mm x 156mm del 3DS: osservata lateralmente, la console ha uno spessore che decresce a partire dallo schermo superiore, e che passa dai 2 centimetri del lato più ingombrante fino a poco più di mezzo centimetro nella parte più sottile
    9. Chi ha potuto provare la console riferisce di una comodità di impugnatura superiore a quella del 3DS XL: lo sviluppo orizzontale permette inoltre di far riposare il palmo della mano, che può ora appoggiarsi senza dover necessariamente impugnare
    10. Le dimensioni dei due schermi (in realtà uno solo ma diviso in due sezioni, una sola delle quali touch dal momento che l'altra è ricoperta da un sottile strato di plastica che impedisce di sollecitarla) sono le stesse del 3DS, rispettivamente 3,53 e 3,02 pollici
    11. Il ritorno alla tecnologia 2D permette di utilizzare schermi LCD con risoluzione e densità di pixel dimezzate, rinunciando a processi produttivi particolarmente complessi e costosi ed alla barriera di parallasse che rendeva possibile la visualizzazione di immagini tridimensionali senza l'utilizzo di occhialini dedicati
    12. La durata della batteria (5,5 ore) è analoga al 3DS (5 ore) ma inferiore al 3DS XL (6,5 ore)
    13. La console sarà inizialmente disponibile in due combinazioni di colori: NERO + BLU e BIANCO + ROSSO; la confezione includerà un blocco alimentatore per Nintendo 3DS che può essere utilizzato con Nintendo 2DS, Nintendo 3DS e Nintendo 3DS XL
    14. L'unico accessorio opzionale presentato al momento è una custodia di colore azzurro o rosso, un acquisto che potrebbe rivelarsi fondamentale per proteggere gli schermi particolarmente esposti ad urti e graffi (anche considerando l'età più bassa del pubblico al quale la console sembra essere destinata)
    15. I suoi 260 grammi fanno del Nintendo 2DS un dispositivo più pesante del 3DS (235g) e sensibilmente più leggero del 3DS XL (336g)
    16. La console presenta un diffusore audio mono contro i due stereo del 3DS (l'ascolto stereo è comunque possibile collegando un normale paio di cuffie) mentre per mettere la macchina in stand-by - non potendo più chiuderla in se stessa - è stato introdotto un nuovo interruttore sleep: questa funzione sarà pienamente compatibile con i giochi, come The Legend Of Zelda: Phantom Hourglass, che richiederebbero la chiusura a cerniera della console
    17. Internamente Nintendo 2DS non presenta novità di rilievo: stesso processore, stessa batteria e stesse capacità di comunicazione tramite Wi-Fi (con relativo accesso ad eShop, Streetpass e multiplayer online)
    18. Per quanto riguarda la disposizione dei tasti, il comando Home è ora di dimensioni più generose mentre i pulsanti start e select sono stati spostati sulla parte superiore destra del touch screen
    19. Non esiste più un comando hardware per disabilitare la connessione Wi-Fi, bisogna pertanto ricorrere ad una voce situata nel menu a video delle Impostazioni
    20. I due nuovi tasti L e R sono ora più simili ai tasti spalla di un pad da console casalinga che a qualunque altro tasto posteriore di una console portatile
    21. La fotocamera esterna continuerà a registrare foto tridimensionali nonostante lo schermo della console non possa visualizzarle con questo effetto: la scelta ha un senso, che in pochi hanno saputo cogliere, dovendo la console mantenere una forma di compatibilità con i giochi in Realtà Aumentata di Nintendo 3DS (AR Games)
    22. La scheda di memoria inclusa sarà da 4GB, la stessa del 3DS XL (contro i 2GB del 3DS)
    23. La console, afferma il general manager di Nintendo Italia, è pensata per i bambini che cercano un'esperienza più completa rispetto a quella offerta dai telefoni dei loro genitori, le famiglie che possiedono un Nintendo DS e vogliono sperimentare i titoli più recenti come «Animal Crossing: New Leaf» e gli imminenti «Pokémon X e Y», e infine i giocatori di tutte le età che desiderano scoprire o riscoprire la magia Nintendo a un prezzo conveniente
    24. Sebbene gli oculisti abbiano dichiarato che la tecnologia 3D non influisce negativamente sullo sviluppo della vista dei bambini, l'assenza dello schermo 3D potrà tranquilizzare i genitori sensibili a questo aspetto
    25. L'improvviso abbandono della tecnologia 3D da parte di Nintendo - con la console presentata da un giorno all'altro ad insaputa degli stessi dipendenti di Nintendo - potrebbe essere anche connesso alle accuse mosse alla casa di Kyoto da un ex-dipendente di Sony, Seijiro Tomita, che sostenendo di aver visto la sua tecnologia utilizzata dalla Grande N in modo illecito ha recentemente ottenuto un risarcimento di 15.1 milioni di dollari
    26. Non è la prima volta che le aspettative di Nintendo sulla tecnologia 3D vengono disattese: il suo Virtual Boy, datato 1995, fu un disastro commerciale che purtroppo non viene nemmeno citato sulla pagina di Nintendo Italia dedicata alla storia del marchio
    27. Al momento non sono stati rivelati piani per vendere il Nintendo 2DS in Giappone, circostanza che potrebbe rendere il dispositivo europeo/americano particolarmente appetibile per i collezionisti del Sol Levante: la scelta potrebbe essere dettata dal fatto che in Giappone, durante la scorsa primavera, sono stati venduti ben 640.000 3DS contro i 360.000 commercializzati negli Stati Uniti
    28. L'annuncio dell'uscita della console si accompagna ad una riduzione di prezzo di Wii U (e di Playstation Vita) unita alla prossima disponibilità del nuovo bundle con Zelda The Wind Waker HD
    29. Un eventuale prezzo di vendita di 99 Euro, abbinato ad una bella flashcart R4i, farebbe del Nintendo 2DS un ottimo acquisto, a detta di molti commenti pubblicati online
    30. Infine, ecco il video ufficiale di presentazione della console


    31. Punto bonus: questo articolo è stato scritto ascoltando l'ottimo hard-rock degli svizzeri Fox (Lucifer, 2013), che vedrò di recensire a breve


    Fonti: 

    www.spaziogames.it
    www.nintendo.it
    www.corriere.it
    www.techradar.com
    www.gamespot.com
    www.kotaku.com
    www.ign.com
    www.gamasutra.com
    www.usgamer.net