giovedì 30 luglio 2020

Recensione PALACE - REJECT THE SYSTEM


Palace
Recensione: Reject The System



Giunti all’ottava tappa del loro cammino discografico, i tedeschi Palace vengono dalla città di Spira e si propongono di perpetuare i fasti del teutonic heavy metal attraverso dieci nuove canzoni che essi stessi definiscono le loro più pesanti e varie di sempre. “Reject The System“, nonostante il titolo bellicoso, è in realtà l’album perfetto per chi cerca quarantacinque minuti di metallo classico, quadrato, ritmicamente vario ma mai particolarmente ispirato dal punto di vista delle melodie. 

Se esistesse un metal da ascensore, insomma, non sarebbe troppo diverso da brani come “Final Call Of Destruction” e “Wings Of Storm”, dignitose successioni di stereotipi che si affidano alla riproposizione dei loro ritornelli (l’incidere militaresco di “Legion Of Resistence” non può competere con il racconto crudo di “Burner” dei Motorhead) piuttosto che all’efficacia di ciascuno di essi. 

A differenza di un prodotto classico ma di nerbo, come può essere l’ultimo degli Anvil, quello dei Palace è un heavy sommesso, una definizione che lo rende a suo modo originale: nonostante gli stereotipi di genere siano tutti ugualmente rispettati, dalle ritmiche agli assoli, dai cori alle tematiche, il suono e l’impressione che ne risulta sono entrambi decisamente understated.

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Ascoltato con
Cuffie Superlux HD-668B
DAC LH Labs Geek Pulse (ESS9018K2M Core)
Alimentatore LH Labs Linear Power Supply
Filtro Audioquest Jitterbug
Software Foobar2000 ver. 1.3.16 (WIN10 Pro / 64bit)

mercoledì 22 luglio 2020

Recensione TOKYO MOTOR FIST - LIONS


Tokyo Motor Fist
Recensione: Lions



Artisticamente “figli” di Danger Danger e Trixter, band di provenienza dei due musicisti a capo del progetto, i Tokyo Motor Fist rappresentano un sodalizio artistico che, ancor prima di cominciare a mettere in fila le note, corona un’amicizia lunga una vita: seppure impegnati in carriere diverse, Ted Poley (voce) e Steve Brown (chitarra, cori e tastiere) hanno sempre accarezzato il sogno di produrre musica insieme, e “Lions” rappresenta il secondo passaggio di un percorso che a questo sogno ha saputo – fin dal debutto del 2017 – dare ammirabile concretezza. 

Nei Tokyo Motor Fist ci sono la sofisticazione dei Def Leppard, le cotonature degli ottanta americani, i cori dolci e le malinconie credibili, a formare un quadro che restituisce una curiosa solidità al concetto di “melodico”. 

L’approccio bilanciato dell’album consente infatti alle sue sonorità rotonde di mantenere una venatura piacevolmente grezza, vuoi per l’interpretazione appassionata di Poley vuoi per arrangiamenti squadrati da assimilare al primo ascolto.

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DAC LH Labs Geek Pulse (ESS9018K2M Core)
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martedì 21 luglio 2020

Recensione ANNO MUNDI - LAND OF LEGENDS


Anno Mundi
Recensione: Land Of Legends



Risultanti dall’ibridazione di musicisti dal background hard rock con altri dalle esperienze più spiccatamente progressive, con “Land Of Legends” gli Anno Mundi propongono una eclettica rivisitazione, dal sapore internazionale, del prog italiano della fine degli anni settanta, quello stesso filone che avrebbe ispirato anche tanto pre-metal fuori dai confini nazionali. 

Nonostante l’idioma scelto per il cantato, c’è dunque tanta Italia in questo retroprog: la pronuncia di Federico Giuntoli fa poco per nascondere le nostre le origini, il senso di una teatralità languida ed elegante è tipico del nostro teatro a collo alto e – ultimi ma non ultimi – i brani in scaletta raccontano di un approccio alla composizione del tutto libero da frette e condizionamenti moderni. Non è solo una questione di lunghezze: certamente cinquanta minuti di esecuzione spalmati su sole cinque canzoni costituiscono una dichiarazione abbastanza chiara, ma è anche il gusto per la singola nota ad approfittare con intelligenza di un fattore, quello del tempo, che questo prog romano è abile nel riscoprire. 

L’approccio è ancora più fisico se si considerano la credibilità dei suoni ed il chiaro compiacimento per la stessa, il senso di novità – storicamente corretto – riservato agli interventi di tastiera, l’abilità nel cambiare strumentalmente registro (“Hyperway To Knowhere”) e disorientare, pur senza rendere l’ascolto frustrante: caratteristiche che tendono a ripetersi diventando un marchio di fabbrica ed un tratto distintivo in grado di tenere i tanti moti del disco sotto un unico cappello di morbido velluto a coste.

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venerdì 10 luglio 2020

Recensione BLOODY HEELS - IGNITE THE SKY


Bloody Heels
Recensione: Ignite The Sky



Ritmata, incalzante, corale: potremmo descriverla così la proposta dei lettoni Bloody Heels, il cui primo disco stampato da Frontiers Records – successore dell’EP Summer Nights (2014) e dell’album di debutto Through Mystery (2017) – corona un cammino relativamente lungo ed articolato che ha mosso i suoi primi passi nella capitale Riga. 

Fatto di continue pause e ripartenze, “Ignite The Sky” sembra davvero possedere il potere di accendere il cielo, tanto i suoi frequenti stacchi convogliano e distribuiscono energia scandita con precisione, cantata con vigore da Vicky White ed impreziosita da assoli (anche) tecnici che danno alla proposta dei quattro un piacevole tocco old style

E così succede di scoprire un hard rock improprio, nel quale elementi classici sono accostati in modi originali, fatto di elementi chiaramente distinti ed in un certo senso decostruito, moderno nella suo disinteresse verso una fluidità facile, autenticamente baltico in una passione ricercata attraverso matematica ed accostamenti meccanici, piuttosto che melodie struggenti.

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