giovedì 15 agosto 2013

Recensione BLUE OCTOBER - SWAY



I Blue October, nonostante il nome richiami immagini di desolazione nordica, vengono dall’assolato Texas e, protagonisti di una carriera cominciata nel 1995, possono vantare nel loro palmares già diverse sortite nelle parti alte delle classifiche americane. Il cantante Justin Furstenfeld racconta che Sway, ultima fatica discografica in uscita ad Agosto, “riguarda i motivi per i quali la vita è così bella. Riguarda il modo di affrontare le paure e di riconoscere i miracoli di ogni giorno. Riguarda il divertirsi rendendosi conto che la vita non è una cosa da prendere alla leggera”. Mica sarcicce, aggiungerebbe il personaggio di Karin in Boris. Sono parole che cito volentieri (quelle di Furstenfeld, da Wikipedia) perchè, al di là dei condivisibili concetti espressi, esse troveranno una corrispondenza ammirevole ed intensa tra i solchi del disco che andremo ad ascoltare. Registrato nella nativa San Marcos insieme al produttore David Castell, l’album è stato finanziato grazie ad un progetto creato ad Aprile sul sito PledgeMusic, che ha raggiunto il suo obiettivo appena tre giorni dopo il lancio e che, ad Agosto, ha raccolto il 263% di quanto inizialmente richiesto. Per raccogliere il denaro necessario alla produzione indipendente, la band ha offerto ai fan lezioni di musica, strumenti autografati, artwork esclusivi e biglietti per i concerti, preoccupandosi anche di donare una parte dei proventi alla MusiCares Foundation: creata nel 1989, la Fondazione si occupa di sostenere i musicisti in momenti di difficoltà finanziarie, personali o mediche, portando all’attenzione dell’industria discografica le problematiche di natura assistenziale che possono incidere sulla salute e sul benessere dell’intera comunità musicale. La stessa sensibilità si ritrova nei primi, impalpabili e sognanti movimenti di Breathe, It’s Over, prima di venire delicatamente ricondotti ad una ritmica dolce e sussurrata, confortati dalla forza di una melodia di natura introduttiva e discreta, grigia eppure floreale come la copertina, frizzante come un’alba, ritmata in modo delicato come un cinguettio vezzoso che sembra di cogliere in sottofondo. Sintomatico che proprio la title-track goda di un’interpretazione tanto amorevole e compassata, fatta di piccoli sussulti e brevi allontanamenti, lontana dall’esuberanza di un eventuale singolo, sostenuta da un basso che dona vitalità senza stravolgere e dal cantato di Justin Furstenfeld, che riesce a raccontare mettendoci il cuore, pur senza lancinanti sofferenze. La canzone è un gioiellino di semplicità apparente, dalle dolci sonorità anni ottanta, con piccoli tocchi in levare che ne aumentano l’irresistibile leggerezza, un misto colto ed empatico di U2, Hootie & The Blowfish, David Bowie (Furstenfeld offre un’interpretazione che nei momenti più sussurrati ricorda proprio quella del Duca di Londra) ed A-ah che pare un abbraccio, tanto forte è il calore che emana. Piano piano il disco cresce, evolvendosi nei suoni e nelle ritmiche, che si fanno talvolta più rock, senza tralasciare una contagiosa capacità comunicativa: piccoli tocchi di chitarra, cori delicati, archi sinuosi (Not Broken Anymore) e ritornelli orecchiabili, interpretati con un misto di passione e malinconica rassegnazione, sono forse armi subdole ma sempre efficaci, rese ancora più affilate da una solida alternanza di momenti, ora pieni ora vuoti, luci ed ombre, che avvicinano l'ascolto di Sway all'esperienza di un viaggio. Nonostante gli artifici retorici, il messaggio dell’album pare sempre genuino e credibile, probabilmente grazie ad un perfetto bilanciamento dei pesi che fa in modo che sia sempre l’ascoltatore a chiedere, a ricercare ed a ricomporre attivamente le immagini che il disco appena tratteggia. Tra le note di Sway, disponibile anche in vinile, c’è l’occasione per un nostalgico ritorno al passato (Fear), ci sono dichiarazioni di un amore speciale (Things We Don’t Know About) ed il battere le mani liberatorio di Hard Candy, tutte esperienze accomunate da una semantica universale che appartiene alle età di ciascuno di noi. La produzione equilibrata permette di apprezzare lo spiegamento semplice dei mezzi e delle note: bastano infatti un tocco di pianoforte per dare delicatezza, una chiara linea di basso per conferire struttura, sonagli per trasmettere un'idea di vitalità sulla quale la voce di Furstenfeld si staglia con grande personalità, sicura senza bisogno di spingere.




Se un rimpianto ci può essere, almeno per l’ascoltatore abituato a sonorità più intense e costruite, è quello che la band di Houston sceglie con questa settima uscita di mantenersi su coordinate piuttosto lunari e radiofoniche, affondando raramente le unghie in una forma più rock, che con Angels In Everything dimostra comunque di saper gestire: la maggior parte del disco si accontenta, per così dire, della bravura con la quale evoca un’immagine acustica e raccolta, rinunciando all’ambizione di portare la medesima intensità ad un livello più maestoso e complesso. Alle note di Matt Noveskey va in ogni caso il merito di tenere le componenti legate, grazie a linee di basso presenti e dinamiche, che quasi si colgono nell'intento di tenere unita tutta l'energia del disco e dare coerenza alle sue tredici, raffinate parti. Sway è un cielo di stelle pulsanti, un continuo rincorrersi di voci che pare squarciare il tempo, una definizione sfuggente del sentimento fatta di parole semplici e suoni elettronici ed atmosfere allo stesso tempo ritmate e rarefatte. Una volta entrati nel suo mood non si corre il rischio di scambiare per monotono uno stile che, coerente, riesce comunque a graffiare, seppur con l’usuale garbo, con le vigorose schitarrate di Put It In, il quasi rap di Light You Up e le percussioni di Things We Do At Night. Quella dei Blue October è una delicatezza autoriale, una raffinata luce soffusa alla Dire Straits, capace di creare improvvisamente il buio (Debris) con un apparente poco, tessendo un'atmosfera credibile mediante la sovrapposizione sapiente di suoni e loop, echi ed assoli di chitarra privi di qualsiasi componente tecnica, eppure capaci di sondare e sconvolgere in nome di una disperazione che sa muoverci, forse anche motivarci, nel momento in cui la sentiamo nascerci dentro: da Breathe, It’s Over al commiato di To Be, questo disco regala una musica che trascende noi e se stessa per librarsi, senza età, senza peso e senza barriere, nell'aria leggera di un mattino d'autunno.

[7]

Rock, 2013

Up/Down Records

Tracklist:
  1. Breathe, It’s Over
  2. Sway
  3. Angels In Everything
  4. Bleed Out
  5. Debris
  6. Fear
  7. Things We Don’t Know About
  8. Hard Candy
  9. Put It In
  10. Light You Up
  11. Things We Do At Night
  12. Not Broken Anymore
  13. To Be
Line-up:

Justin Furstenfeld (Voce, Chitarra)
Ryan Delahoussaye (Violino)
Matt Noveskey (Basso)
Jeremy Furstenfeld (Batteria)

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