domenica 25 agosto 2013

Recensione DIABULA RASA - ARS MEDIOHEAVY


Vengono dalla mia Romagna, i Diabula Rasa, ed è bastato un solo ascolto al loro nuovo album Ars Medioheavy (titolo azzeccato e programmatico) per invogliarmi a scrivere questa recensione. Attivi da tredici anni, da sette nella formazione attuale, la band si presenta sulla pagina ufficiale Facebook come un collettivo dedito alla ricerca ed alla sperimentazione sulla musica medioevale, quasi a voler sottolineare come vi sia una sorta di missione culturale alla base del percorso intrapreso dal leader Luca “Diabula” Veroli e dai suoi compagni di viaggio. Lo stesso Veroli, vero liutaio, costruisce personalmente la strumentazione utilizzata in studio come durante i suggestivi concerti, ingegnandosi per “elettrificare” gli antichi strumenti medievali e trasformando ad arte il look di costumi, chitarre, percussioni e “qualsiasi cosa gli capiti a tiro”, compreso un organo scenografico dotato di suoni campionati che lo fanno cantare con voce antica. Diabula Rasa è un’idea che nasce da Luca e Daniela Taglioni, entrambi stimati cultori di storia e cultura medievale, nonchè esperti di musica antica accomunati dalla volontà di unire le sonorità del 1200-1300 con la grammatica del moderno metal che conosciamo: studiando e reinterpretando con passione le fonti antiche la loro band intende ampliare il pubblico interessato a questo particolare stile, che in Italia sta conoscendo un discreto successo grazie ai lavori di Folkstone, Elvenking e Kalevala, solo per citarne alcuni. Ars Medioheavy, uscito a fine 2012 sotto l’etichetta parmigiana Moonlight Records, rappresenta la terza tappa discografica per i lughesi, seguito dello strumentale Techo Gothica del 2005, che non presentava elementi metal, e di Diabula Rasa del 2010, che introduceva per la prima volta l’elemento cantato e quello metallaro, rielaborando con l’occasione il materiale presentato cinque anni prima. Studio, ricerca e sperimentazione vengono quindi messi al servizio di una precisa e filologica opera di ricostruzione, che si propone di infondere un respiro contemporaneo ad una musica pensata per essere eseguita da strumenti totalmente differenti in un periodo che si può far risalire al 1100 circa: si trattava di una produzione pensata inizialmente su testi latini e successivamente in lingua volgare, di frequente provenienza ecclesiastica, proprio perché la formazione culturale avveniva esclusivamente in ambito monastico/ecclesiastico fino alla produzione dell’Ars Antiqua (o Ars Vetus). Per una descrizione storica più esaustiva ed una precisa contestualizzazione di questo ascolto vi rimando allora senza indugi all’articolo su Wikipedia. L’atmosferica opener Ghirondo riesce a costruire un brano ritmato e coinvolgente attorno ad una manciata di note di basso, prima alternando e poi fondendo un impalpabile coro femminile con chitarre potenti (che assalgono da entrambi i lati senza soluzione di continuità) e note di cornamusa, a rincorrersi frenetiche: nel riuscito crescendo trovano posto tappeti di tastiere e stacchi di batteria, disciplinati secondo un’ordinata alternanza che davvero identifica nello studio e nell’aderenza al modello originale la vera differenza dei Diabula Rasa


Canzone dopo canzone, tra testi latini, altri della tradizione bulgara, altri ancora in francese antico ed alto tedesco, si rimane conquistati dal fatto che la componente storica/folk ha un evidente sopravvento sull'elemento metal, al quale - come correttamente scritto nella biografia della band - viene riconosciuto il solo ruolo di medium per diffondere l'interesse verso questo tipo di musica. Grazie alla perfetta integrazione degli elementi e ad una produzione fantastica, finalmente di livello internazionale, Ars Medioheavy straripa di vita ed energia, regalando un viaggio nel tempo che sappiamo non solo esegeticamente corretto, ma anche coinvolgente e sempre ritmato. Le voci di Daniela e Samantha interpretano ogni passaggio con spirito e passione, i loro apporti sempre in primo piano, definendo gran parte della musica dei Diabula Rasa: alieno da contaminazioni death e controcanti growl, ed allo stesso tempo avaro di contrappesi di maschile gravità (Congaudentes), il disco propende per un approccio ritmicamente solido (ottimo per interpretazione e sensibilità Moreno Boscherini alla batteria) ma di vocale e folletta levità. Se infatti non mancano passaggi più pieni e sinfonici (Cataclism), sui quali il sestetto romagnolo giustamente indugia per dare spazio alle diverse voci in suo possesso, il cantato sottile riporta puntualmente ad atmosfere festose e sfrenate, paesane piuttosto che epiche, nelle quali la ripetizione di una stessa frase (ho scritto di mesoloop, macroloop e microloop qui) crea un vortice ossessivo ed ancestrale, di potenza mistica e fervore dilagante. La riproposizione convinta di questi elementi nell'arco dei tre quarti d'ora di esecuzione contraddistingue un progetto mirato e ponderato, alla larga della - pur divertente - accozzaglia folk-metal cresciuta a forza di vodka-thrash, face painting alla Braveheart & gonnellini d'ordinanza. Il rigido schematismo corale di Madre De Deus, la teatralità hard-rock di Maledicantur e gli eleganti intrecci di Astarte sembrano voler indicare un anelito più ambizioso ed un’aspirazione più alta, che possa interessare l’ascoltatore ancor prima che divertirlo, intransigente nella generale inaccessibilità delle sue liriche, fresco nei suoni in levare, esaltante nell’eccellente resa dei suoni elettrici/elettrificati (le chitarre metal paiono prendere un deciso sopravvento nella sola, e trascurabile, In Taberna) e complicato quanto basta negli arrangiamenti per stimolare successivi ascolti. Ars Medioheavy sceglie coraggiosamente la via più difficile, proponendo con meritato successo un approccio crudo al folk-metal che ci fa davvero sentire il profumo della real thing: nel disco non vi è nulla di ammiccante nè commerciale, ritornelli ed assoli ed altro modername cedono a capo chino il passo a cerchie più antiche e sanguigne, ma non per questo meno intrise di un coinvolgimento fisico, irrefrenabile, proibito e primordiale (come il balletto seminudo nella villa di Jackie Treehorn, Il Grande Lebowski, 1998). Così facendo i Diabula Rasa riescono nell'intento di farci percepire, con l'aiutino di una contaminazione metal ed a tratti progressive, tutta la potenza espressiva e la carica d'energia di un'arte affascinante, oscura, senza tempo.

[7]

Folk Metal, 2012

Moonlight Records

Tracklist:
  1. Ghirondo
  2. Tsanich
  3. Cataclism
  4. Congaudentes
  5. Madre Deus
  6. Astarte
  7. In Taberna
  8. Vermell
  9. Maledicantur
  10. Ahi Amours
Line-up:

Luca Veroli (Cornamuse, ghironda, voce, composizione brani e liuteria)
Daniela Taglioni (Canto, organo, cembalo, tastiere, composizione ed elaborazione brani)
Samantha Bevoni (Basso, voce e cori)
Stefano Clo (Chitarre, liuti)
Sonia Nardelli (Chitarre)
Moreno Boscherini (Batteria)

Nessun commento :

Posta un commento