venerdì 23 agosto 2013

Recensione KATATONIA - DETHRONED & UNCROWNED


Coerenti, visionari, indipendenti, liberi, eppure empatici e generosi dispensatori di fitte nebbie ed infiniti spazi ghiacciati, all’insegna di un Grigiore di Qualità nel quale nicchie sparse in tutto il mondo vorrebbero, almeno una volta, perdersi. Questo e molto altro sono i Katatonia, gruppo svedese che dagli esordi black/doom metal di Dance Of December Souls (1993) al post-rock più melodico e rarefatto del nuovo millennio, sulfureo e descrittivo, ha saputo rinnovarsi completamente, mescolando le carte ma senza mai tradire la regola di un mood sottile ed ambiguo (“sorrowful metal”), di una malinconia dell’abbandono e della rinuncia (DE-THRONED, UN-CROWNED) raccontata osservando con distacco, ora servendosi di tinte più forti ed ora mediante la suggestione di passaggi di ipnotica poesia. Forti di una coerenza sui generis, che li ha visti raffinare continuamente la proposta, evolutasi verso un suono sempre più progressive pur senza tradire i fan, i Katatonia si ripresentano nel 2013 con questo Dethroned & Uncrowned (46m10s di durata totale), album di undici pezzi e decima fatica discografica ad un anno di distanza dal successo di quel Dead End Kings (48m47s di durata totale) che sancì l’ingresso in pianta stabile di Per Ericksson e Niklas Sandin. Ed è proprio da qui che ripartono gli svedesi, proponendo con l’originalità loro propria non un disco completamente nuovo, ma un album che “esplori gli elementi ambient e progressive dell’acclamato Dead End Kings”. A farne le spese, anticipa Anders, saranno batteria e ritmiche distorte, che dovranno oggi cedere il passo a melodie ed armonie vocali, assurte a vero punto focale di questa nuova release, che nelle intenzioni del chitarrista svedese dovrebbe costituire qualcosa di inedito, pur includendo undici tracce dai titoli immutati. Dethroned & Uncrowned si presta allora ad una doppia chiave di lettura, ad una valutazione che ne contempli le doti in senso assoluto e ad una, non meno importante per chi già conosce la discografia di Renkse e compagni, che invece ponga il disco in prospettiva con l’uscita precedente. Dead End Kings ha rappresentato un viaggio in un’ipotetica Tranquillity Base, trasognato e cantilenante, che per il senso di atmosfera rarefatta e spiazzante solitudine mi ha ricordato quell’Echo Night: Beyond (From Software, 2004) giocato qualche anno fa su Playstation2. Il gioco narrava di fantasmi tormentati ed abbandonati paesaggi lunari, in un futuro non troppo distante che si faceva sempre più inquietante per i fenomeni inspiegabili che vi avvenivano, per la luce pallida della luna che ne rischiarava i silenzi e per la mancanza di peso che, come dentro una figura retorica, aggiungeva in realtà spessore ed atmosfera agli ambienti di gioco.
Sei pronto a farti trasportare nel peggiore dei tuoi incubi? Una stazione spaziale abbandonata... almeno apparentemente.... Un incidente spaziale e nessun cadavere in giro... Impovvise voci nel buio siderale e spettri che girano ignari per la nave... tutto questo è Echo Night Beyond. Traendo spunto, in quanto ad atmosfera, dagli incubi di Silent Hill, starete col fiato sospeso temendo tutto ciò che vi sta intorno. Un esperienza ludica elettrizzante ... fino all'ultimo spasimo...
Tormentato ed effettato, il rock di Dead End Kings sapeva coniugare con successo tempi generalmente rilassati, riff di chitarra semplici, un malinconico tappeto sul quale spiccavano i tintinnanti battiti del ride, arrangiamenti orchestrali e chorus in grado di introdurre un minimo di vivacità ritmica, benchè sempre sull’orlo di essere brutalmente smorzata. Nonostante la cura degli arrangiamenti, il disco suonava come un lavoro di continua sottrazione, quasi a voler riprendere - anche nella forma - quella sostanza katatonica fatta di distacchi e abbandoni, vuoti incolmabili ed affreschi dal fascino scalfito e decadente. Dethroned & Uncrowned sostituisce all’elemento ritmico una componente acustica che ne definisce il carattere e ne giustifica l’esistenza: il cantato di Renkse è più partecipato e sofferto, con le tracce vocali spesso raddoppiate che ben si armonizzano con arpeggi ed accordi di chitarra acustica, scale al pianoforte ed archi a profusione. Va detto, per fugare il sospetto di una banale operazione commerciale, che ogni brano subisce una trasformazione decisa, tanto profonda che la stessa canzone appare diversa pur ascoltandone in rapida successione entrambe le versioni. La release del 2013 fluttua leggera, completamente privata di  quegli elementi nervosi e quelle diagonali ritmiche che contraddistinguono il sound “normale” degli svedesi: le andature, già rilassate, si distendono ulteriormente, pur mantenendo un focus apprezzabile ed accorciando la durata totale della riproduzione. Sotto questo aspetto va rilevato, curiosamente, che la nuova versione nella quale gli undici brani vengono riproposti permette di coglierli in una dimensione definita e forse persino più comprensibile. Laddove in Dead End Kings malinconia e reminiscenze metal creavano un effetto a volte dissonante, che qualche anno fa descrivevamo come originale, Dethroned & Uncrowned propone uno sviluppo armonico e coerente, più facilmente riconducibile alla classica forma-canzone: il remix, se così vogliamo chiamare questa radicale rilettura, scombina le carte per scoprire l’essenza dei brani, esaltandone le melodie appena suggerite, raccordandone con grazia i passaggi, riempiendone i vuoti con piccoli tocchi e delicati riverberi che tra i duri contrasti della versione rock sarebbero invece andati perduti. Se da un lato certi passaggi, ridotti alle semplici sonorità acustiche (non mancano comunque alcuni rarefatti assoli di chitarra elettrica), guadagnano in inquietudine e senso di vuoto, dall’altro la maggior cura riservata all’interpretazione delle melodie vocali crea un contrappeso elegante che bilancia l’anima dell'intero album, donandogli un perfetto equilibrio tra pieno e vuoto, voce e cori, note solitarie e partiture più ricche. 



Il disco non brilla certo per varietà: i suoni tendono infatti a ripetersi e ad un ascolto distratto l’impressione è quella di trovarsi di fronte ad una singola opera in più atti, piuttosto che ad undici tracce dalla personalità tra loro distinta. Probabilmente dal punto di vista della produzione si sarebbe potuto osare qualcosa di più, pur scegliendo di avvalersi di una tavolozza di colori limitata, ma la circostanza che il materiale di partenza sia stato pensato per un’esecuzione di tipo diverso può aver posto dei paletti alle reali possibilità di rielaborazione. Svanito dunque l’effetto novità e la voglia di confrontare ogni singola traccia nelle due versioni, ciò che rimane è un ascolto delicato e piacevole, coerente ed ostinato nelle sue scelte come gli Apocalyptica duri & puri degli esordi. Sembra comunque inutile, persino fuorviante, valutare il disco secondo parametri standard: l’ultimo dei Katatonia sceglie di compiere un percorso originale, astraendosi ed allo stesso tempo sottoponendosi all'immediato confronto, offrendo all’ascoltatore non solo un gioco di rimandi tra le diverse versioni ma anche una chiave di lettura differente, una visione più ampia, uno stimolo a trovare un proprio - anche scomodo - posto tra nuovi arrangiamenti e malinconie nordiche servite in tutte le possibili salse. L’impegno del quale Dethroned & Uncrowned pare intriso, superiore a quello di un ordinario bonus disc, conquista come le musiche che accompagnano i titoli di coda dei film che finiscono male: il protagonista muore, l’ingiustizia prevale (Leon, Luc Besson, 1994) e lo spettatore, solo in tutto il suo ap/pagante sconforto nel buio della sala, sceglie di rimanere seduto, attonito, come ipnotizzato dallo scorrere continuo dei crediti e dalle note (Shape Of My Heart, Sting, 1993) che ne accompagnano la danza, dal basso verso l’alto dello schermo. Note tra le quali egli si illude di cogliere ogni tanto un sussulto, un respiro, un battito abbastanza forte da rievocare in lui una capacità di comprensione ed un sentimento di speranza. Tutt'altro che indispensabile, Dethroned & Uncrowned è neve sporca e giornate sprecate: è un flash mob di sguardi verso l’alto che non hanno età, alla ricerca di conforto nel grigiore di un cielo squarciato da frammenti di melodia torbida e barocca che pure pare rincuorare, nonostante tutto.

[6]

Ambient Rock, 2013

Kscope

Tracklist:
  1. The Parting
  2. The One You Are Looking For Is Not Here
  3. Hypnone
  4. The Racing Heart
  5. Buildings
  6. Leech
  7. Ambitions
  8. Undo You
  9. Lethean
  10. First Prayer
  11. Dead Letters
Line-up:

Jonas Renkse (Voce, Chitarra, Tastiere)
Anders Nyström (Chitarra, Tastiere)
Per Eriksson (Chitarra)
Niklas Sandin (Basso)
Daniel Liljekvist (Batteria)

4 commenti :

  1. Complimenti, hai scritto un bellissimo articolo su un gruppo da me molto amato, citando peraltro pure un gioco particolarissimo (e pure amato da me) quale Echo Night: Beyond (sconosciuto dai più!). Davvero i miei migliori complimenti!

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  2. Ciao, grazie per i complimenti e per essere capitato su questo MicroBlog!

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  3. OTTIMA RECENSIONE! davvero LA MIGLIORE che si possa trovare sul web!

    c o m p l i m e n t i

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    1. Eh, veramente troppo gentile, grazie! Nella mia "carriera" di recensore non è sempre andata così bene... trovi un esempio su www.metallized.it/recensione.php?id=5160 ;)

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